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agenti infiltrati

Parlano arabo, incastrano i pusher
Ecco i “Serpico” figli di immigrati

Sempre più presenti nei commissariati e nelle volanti agenti italiani originari da Marocco e Tunisia

Il controllo di un poliziotto

Perquisizione a un pusher

Conoscono bene l’arabo e i dialetti tipici di alcune zone del Nord Africa, dalle quali partono le ondate migratorie. Sono poliziotti addestrati a lavorare in prima linea, sulle strade, con le Volanti che pattugliano la città a ogni ora del giorno e della notte. Sono agenti scelti, o di polizia giudiziaria, in grado di intervenire direttamente, per arresti o interventi di soccorso pubblico, che hanno una marcia in più: sono in grado di capire i linguaggi in codice che spesso usano, parlando tra loro, gli arrestati colti in flagranza di reato mentre spacciano o rapinano. Non solo. Sono investigatori che conoscono la cultura del paese d’origine dei criminali. E questo consente loro di prevederne le mosse e di comprendere il contesto in cui i reati avvengono.


Ormai sempre più spesso nelle forze dell’ordine vengono assunti in settori chiave agenti italiani di origini africane. Sono le cosiddette seconde, terze generazioni. Sono uomini e donne che parlano perfettamente almeno due lingue, che riescono bene a infiltrarsi nei contesti criminali dello spaccio o delle baby gang. Queste figure non sono una novità nell’Antiterrorismo, che da decenni usa “infiltrati” in borghese in grado di ascoltare quanto viene predicato nelle moschee Ma sono, ultimamente, sempre più presenti nei settori di primo intervento. Come i commissariati o le volanti. A volte, basta ascoltare una parola detta dall’arrestato, per trovare una prova.

Un caso esemplare è quello di una serie di arresti eseguiti recentemente dalle Volanti in via Belfiore. Sono finiti in manette quattro pusher, tutti recidivi, marocchini, che hanno dai 20 ai 30 anni, dopo che nella casa in cui vivevano, al civico 22, era stata trovata droga ovunque, persino sui fili da stendere. Portati nella saletta trattazione atti dell’ufficio di polizia, gli arrestati si sono messi a chiacchierare in un dialetto marocchino. Poco distante da loro, c’era un agente in divisa che compilava dei verbali. In realtà, stava traducendo tutto ciò che i pusher si stavano dicendo. Frasi come: «State tranquilli, non ci succederà niente, basta che ci prendiamo un avvocato».


«I soggetti si organizzavano, parlandosi in lingua madre, per dividersi le responsabilità in merito alla sostanza stupefacente sequestrata», annotava il poliziotto, dopo che aveva sentito dire dai quattro che si sarebbero divisi in parti uguali le dosi di coca sequestrate, così le loro responsabilità sarebbero state equamente suddivise e sarebbero pesate meno davanti al tribunale. «Loro pensavano che dividendosi la sostanza, la condanna sarebbe stata attenuata», ha scritto nella relazione di servizio il poliziotto, che da anni è in prima linea, sulle volanti, per arrestare chi ogni giorno spaccia e rapina nelle nostre strade.

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