È la Sindone, che per lui era «icona del Sabato Santo», ad aver segnato da sempre il rapporto tra Torino e Joseph Ratzinger. Prima ancora che diventasse Benedetto XVI e la nostra città lo accogliesse con un grande abbraccio, ormai, dodici anni fa: quando tornò ad inginocchiarsi in Duomo da Papa, dopo averlo fatto da Prefetto per la dottrina della fede nel 1998. Una relazione che va oltre la liturgia e ha rappresentato molto più di un simbolo per il pontefice. «Davanti alla Sindone, per me, era quasi palpabile la realtà della sofferenza di Cristo e del suo amore per noi» avrebbe ricordato Ratzinger, anni dopo, ripensando al suo primo incontro con l’immagine di un volto segnato dalla corona di spine, il corpo flagellato da frustrate e umiliazioni, mani e piedi trafitti dai chiodi. Tutt’altro che una reliquia attorno a cui, fino a quella visita, si sono animati dibattiti e studi sull’autenticità. Alcuni commissionati proprio da quella “fronda progressista” della Chiesa a cui Ratzinger era, più o meno dichiaratamente, inviso. Ma non certo agli oltre 100mila fedeli che il 2 maggio 2010 lo accolsero festanti a Torino, in piazza San Carlo. Un calore che quasi stupì il pontefice, portandolo ad un passo dalla commozione mentre salutava, sbracciandosi, il pubblico pigiato sotto il palco. «Cara Chiesa di Torino, sono venuto a confermarti nella fede. Non perdere mai la luce della speranza in Cristo risorto» aveva esordito, impartendo una benedizione che ancora sembra di sentire pronunciare da quella voce gentile e, allo stesso tempo, risoluta nell’indicare nella vita e nella sofferenza di Cristo il centro della propria “pastorale”. Lo provano le encicliche o l’ampia biografia che il teologo ha dedicato a Gesù di Nazareth. Ma, ancora di più, l’orazione che tenne a Torino proprio sul Sacro Lino mettendo fine ad ogni disputa. Parole semplici per riflessioni complesse in cui, però, sembrò ritrovarsi chiunque lo abbia ascoltato quel giorno. Una comunità che, fin dall’alba, si era assiepata davanti alle transenne sul percorso della Papamobile e, poche ore dopo, ha letteralmente assediato il Duomo e il Cottolengo, dove Benedetto XVI si è recato per concludere il suo “pellegrinaggio” all’ombra di San Giovanni. Un incontro a lungo atteso fin dalla successione a Giovanni Paolo II nel 2005 e annunciato insieme con l’Ostensione all’allora arcivescovo e cardinale Severino Poletto nel 2008. Un appuntamento fortemente voluto da Benedetto XVI che più volte ha citato come esempio di cristianità la vita dei “santi sociali” come Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso o Giuseppe Cottolengo, specie in occasione delle udienze con i gruppi parrocchiali che dal Piemonte gli facevano visita in Vaticano. Ma il messaggio più importante, quel giorno di maggio, Benedetto XVI lo lasciò alla nostra città rivolgendosi ai suoi giovani. Quasi un consiglio sussurrato all’orecchio di un amico, lontano dal quel rigido protocollo pontificio che l’amore di Torino sembrava avergli fatto dimenticare per un istante. «Ricordatevi di vivere, non limitatevi a vivacchiare».
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