l'editoriale
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21 Luglio 2022 - 08:23
È una mattinata fredda, di nuvole grigie sul mare, nel gennaio del 1918. La giovane Clara si stringe nel suo unico cappotto e si prepara ad affrontare un viaggio di tre mesi fino dall’altra parte del mondo, lasciandosi alle spalle Armeno, il piccolo paese affacciato sul lago d’Orta. Un viaggio d’amore, il suo: quindicenne insicura, convinta di non essere poi tanto bella, ma consapevole al tempo stesso di quella che le donne del paese definiscono «la bellezza dell’asino» che è poi quella della giovinezza, aveva conosciuto Romeo sul sagrato della chiesa. Lui, terminati gli studi in agraria, è stato ingaggiato dalla Società Anonima Italiana dell’Estremo Oriente e inviato a gestire una piantagione di alberi della gomma in Malesia. Ed è da lì che ha mandato la lettera a Clara per invitarla a raggiungerlo.
«Nella mia borsetta oltre ai soldi regalati da mio padre, c’erano il mio fazzoletto, un foglio con i recapiti che mi interessavano, un piccolo pettine, uno specchietto e l’immaginetta della Madonna di Luciago» ché proprio davanti al suo santuario lei e Romeo si erano scambiati il primo bacio. E poi il dono del padre, la sua penna stilografica: «Usala per scriverci». Così inizia la vita di chi prende il mare, migrante nel cuore della guerra, con il viaggio in treno fino a Marsiglia e l’imbarco sul piroscafo Australien delle Messaggerie Marittime Francesi, adibito a trasporto delle truppe: attraversando un mare infestato dai sommergibili tedeschi, il piroscafo porta Clara a Port Said. Poi ancora in nave a Colombo e a Singapore, quindi in treno fino a Kuala Lampur e, infine, all’isola di Penang. «Iniziò così la mia vita da coloniale, anzi da selvaggia, per dirla come si deve, in mezzo a quel grande bosco di alberi della gomma».
È un viaggio avventuroso, quasi cinematografico quello che racconta Franca Rizzi Martini, in “Oltremare” (Neos, 17 euro), una storia vera ricostruita partendo dal diario autografo di Clara e dai racconti dei suoi discendenti: tra la guerra ormai alla fine, un fratello andato al macello degli assalti alla baionetta, i sogni, gli squassanti temporali tropicali, i feriti nell’ospedale delle religiose, un figlio di nome Liberto che avrà «un nome unico», e le foto autentiche della vita all’altro capo del mondo, tra abiti bianchi, i lavoratori nella piantagione, ma anche le rivolte, la prigionia in India, il dolore. Un affresco che testimonia l’amore di Franca Rizzi Martini per i viaggi e per la storia, la capacità di restituire i sentimenti nel cuore di una giovane lanciata in una grande avventura, eroina salgariana, una «perla di Labuan» piemontese.
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