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25 Agosto 2022 - 08:21
Che effetto fa un “romanzo generazionale” se torna vent’anni dopo? Nostalgia, emozioni contrastanti, tenerezza? Il dibattito, di norma, è aperto. Ma la realtà è che una buona storia, quando è ben scritta, non teme il tempo e il suo valore non muta. Succede con Andrea Malabaila, autore ed editore torinese, che proprio vent’anni fa diede alle stampe “Bambole cattive a Green Park” e che oggi ripropone quel fortunato romanzo in un nuovo volume “I ragazzi vanno a Londra” (BookTribù, 20 euro), unito a ciò che in origine era un racconto e ora è il prequel di quella storia e poi a una terza parte, dieci anni dopo. Così, tutto insieme, un romanzo generazionale e non una prova giovanilistica (come se poi questa fosse un’accezione negativa).
La storia parte dalla sua fine, o da quella che appare: diciottenni che hanno saltato l’esame di maturità - lo faranno a settembre - per volare a Londra come clamoroso atto di ribellione alla scuola-società cattolica e strutturata, e adesso tornano, ma anziché in tre, sono in due. Che cosa è successo? Il narratore ce lo spiega dando del tu - bella la scelta della seconda persona singolare per la narrazione - al protagonista senza nome, accompagnato nella terra d’Albione da Schopenauer e dal Bardo. La Libertà di Londra, l’attrazione quasi mitologica per le giovani disinibite londinesi - sì, diteglielo un po’ al protagonista quando si trova una pistola puntata addosso e, a seguire, un padre di oltre due metri -, ma senza farsi mancare la partita di calcio Italia-Inghilterra al parchetto.
A suo tempo si disse che il romanzo «sconfigge la mitologia negativa di una cannibale e afasica», come se l’inizio del millennio facesse piazza pulita di una narrativa fortemente debitrice nei confronti di Tondelli. Niente di più sbagliato: Malabaila è tondelliano non perché mescola gergo, parlato e scritto “alto”, o la musica rock al calcio e a Holden, bensì perché rende protagonisti i giovani che sono in fila per il volo low cost - non ancora in realtà - come l’illustre progenitore e fratello maggiore di tutti noi li metteva sull’Autobrennero a fare l’autostop. Non sono libertini, ma vorrebbero esserlo forse, soffocati dall’educazione e dalle prospettive sociali future. Musica, ragazze, sogni, ossessioni dell’età che sfociano nel dramma, in quella tragedia che mette fine alla gioventù.
Non per niente, tempo dopo, nella terza parte del libro, dovranno tornare sul luogo del delitto. In mezzo, il racconto di un anno di scuola cattolica e della impossibile coesistenza a Torino di truzzi e cabinotti, una fotografia che a distanza di anni non è virata seppia ma è anzi saturata nei colori e nei toni, una commedia sociale che si fa vaudeville nelle discoteche, nelle Fiat Tipo con stereo a palla, in piazza Bodoni con il suo invisibile e inutile confine, nelle polo firmate o nelle lame.
Non è operazione nostalgia: “I ragazzi vanno a Londra” è così un libro completamente nuovo e dal ritmo irriverente, con qualcosa da dire.
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