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CARCERI
24 Agosto 2024 - 09:42
Service Trade
All’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno vi sono 1498 detenuti. Di questi, solo una parte ha la possibilità di lavorare in quanto, purtroppo, non c’è a oggi un modo per trovare un impiego per tutti: 380 di loro lavorano all’interno dell’istituto penitenziario mentre 110 sono coloro che tra articolo 21 e semilibertà hanno un impiego fuori dal carcere. «Il lavoro è importantissimo: è il primo elemento necessario in un percorso che mira a riformare individui che dovranno tornare in società. Rende le persone autonome, responsabili e restituisce dignità» afferma Arianna Balma, responsabile dell’area trattamentale del Lorusso e Cutugno.
All’interno del carcere, di progetti legati al lavoro ve ne sono diversi. Come quello della biblioteca del penitenziario: in collaborazione con il Comune di Torino, qui lavora una bibliotecaria che tutti i giorni apre l’area centrale. A parte lei, tutti i lavoranti della biblioteca sono detenuti: ogni padiglione ha a sua volta una stanza dedicata al prestito dei libri. Ogni giorno Gabriele, uno dei bibliotecari del padiglione C, gira per i corridoi con un carrello pieno di volumi. «Sono in tanti a leggere. Abbiamo libri in tante lingue». Gabriele è stato arrestato da poco e ha una pena di 4 anni. Ha espressamente chiesto un impiego che gli permettesse di leggere, la sua più grande passione. Un altro progetto ben riuscito è quello di Gelso, la sartoria sociale che ha un laboratorio all’interno del padiglione femminile. E poi c’è Impatto Zero, la cooperativa che gestisce la lavanderia industriale e la stireria in funzione all’interno della Casa circondariale di Torino: ha commesse esterne con clienti pubblici e privati e serve alcune strutture alberghiere per il lavaggio di lenzuola e asciugamani. Nelle loro sedi esterne al penitenziario, lavorano anche ex detenuti.
«Uscirò tra poco e spero che potrò continuare a lavorare con loro: così che questo percorso iniziato qui abbia un filo continuo...» afferma David mentre piega un lenzuolo.
E ancora, sempre interni al penitenziario, ci sono la torrefazione di caffè e il panificio.
Un’attività unica è quella di Service Trade: un capannone che ha accolto 16 detenuti e si occupa di rigenerazione modem e etichette elettroniche per supermercati. Quelle dove leggiamo prezzi esposti quando andiamo a fare la spesa. Tra i suoi clienti ci sono grandi brand come Tim e Pricer. Il capannone è pulito e l’ambiente è disteso. Un progetto che è stato disegnato per essere realizzato proprio in carcere. Anselmo, il responsabile, spiega che si fida dei “suoi ragazzi”. L’ambiente ricorda quello di una qualsiasi sede di lavoro nel “mondo dei liberi”. Inoltre, quello di Service Trade è l’unico progetto che mette insieme detenuti condannati per piccoli reati insieme a quelli con pene assegnate per crimini più gravi: tutti regolarmente assunti.
«Qui per 8 ore ci sembra di non stare in prigione» spiega Sergio. I detenuti, dal canto loro, sono entusiasti, tanto che vorrebbero lavorare 6 giorni anziché 5. E spiegano che Alfredo concede loro del tempo durante le ore di lavoro per alcune attività particolari. Come gestire l’orto, situato dietro il capannone e occuparsi dei tanti gatti che vivono alle Vallette. «Io ero una gran testa calda. Da libero e anche appena entrato qui dentro. Un po’ la mia testa di cavolo, un po’ una famiglia sbagliata. Stare in galera può farti uscire in due modi, meglio o peggio di come sei entrato. Lavorare ti tiene impegnato e ti permette di contribuire alle spese di famiglia, ricordandoti ogni giorno che la vita va avanti e che hai più motivi per fare il bravo rispetto a comportarti ancora come un criminale» conclude Flavio.
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