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L’ultimo miglio in Italia con i migranti in fuga: «Inseguiamo il sogno»

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Loro lo chiamano “the game”, il gioco. Ma è un viaggio di migliaia di chilometri che parte dal deserto, passa dal mare e finisce sulle montagne al confine fra Italia e Francia. È qui che, ogni giorno, provano a passare decine di migranti che arrivano dal centro dell’Africa o dai punti più lontani dell’Asia: sono marocchini, algerini, nigeriani, afgani, iraniani. Per lo più uomini ma ci sono anche mamme con bambini e minorenni soli. Tutti fantasmi in cerca di fortuna, sempre sperando che la polizia non li rispedisca indietro. «Provano e riprovano: fanno avanti e indietro come palline da ping pong» usa un’efficace metafora Carlo, operatore che assiste queste persone nel loro passaggio dalle montagne torinesi. A Oulx, nel rifugio Massi dove ogni notte vengono accolte 70 persone. Lì, a due passi dalla stazione, parte l’ultima tappa di questi migranti. Con loro, ieri c’era anche TorinoCronaca: «Io ho fatto il giro dalla Turchia, fermandomi in Grecia per lavorare - ripercorre il 35enne Youssef, usando un misto di inglese e italiano - Poi Albania, Bosnia, Croazia, Slovenia e Italia. Ora vado in Francia ma il mio sogno è l’Inghilterra». Percorso simile per Nasrullah, arrivato dall’Afghanistan solo un mese fa. Parla attraverso un traduttore sul telefono: «Nel mio Paese facevo il poliziotto, ora sogno la Germania ma non so cosa farò» spiega il 29enne afgano. Invece Badr, di 6 anni più grande, è arrivato via mare. Altri sono in Italia da tempo e non vogliono ancora andarsene. Come Habib: «Sono stato in carcere a Biella per spaccio. Sono venuto qui per trovare un posto per dormire ma sto male e spero di andare in ospedale». Anche Momo, 17enne marocchino, ha già commesso qualche errore: «Mi sono fatto un anno di comunità e sei mesi di carcere». Cos’hai combinato? «Pasticci. Poi qui basta essere immigrato per essere controllato e segnalato. Però ho preso il diploma da parrucchiere». Momo fa da traduttore per l’amico Abdul, che a 18 anni ha girato «mezza Europa e ora voglio andare in Svezia a fare il barbiere». Con loro ci sono altri ragazzi e la 16enne Basma: tutti insieme fanno la coda per fare colazione al rifugio e prendere i vestiti pesanti con cui attraversare il confine a piedi, attraverso i boschi. Scherzano, suonano la chitarra, giocano a pallone con addosso pantaloni da sci e scarponcini mai visti prima. Poi riempiono le bottiglie alla fontana di fronte alla stazione di Oulx e salgono sull’autobus di linea, salvo riscendere perché sostengono di non avere monete. Verso Cesana e Claviere andranno a piedi, per poi passare il confine col buio. Altri proseguono e provano a partire di giorno. Ma qualcuno è già tornato al rifugio Massi: «Ho trovato due volte i gendarmi francesi - ammette Badr - Riproverò».
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