l'editoriale
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29 Gennaio 2023 - 07:06
Sta diventando sempre più emergenziale la situazione dei «Codici rossi». Aumentano, di anno in anno, i reati commessi contro le donne e le persone fragili che subiscono maltrattamenti, violenze sessuali, stalking e lesioni. Ma, con l’approvazione delle ultime riforme, molti processi che prima potevano essere giudicati da un solo magistrato, ora necessitano, secondo la legge, di un collegio composto da tre giudici.
Una modifica letale, quella già attuata, che rallenta di molto l’andamento della giustizia e che lascia “appese”, per mesi, se non anni, le vittime. L’allarme arriva direttamente dal presidente della Corte d’appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, che ieri, durante il suo intervento in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha citato i dati di una recente relazione del presidente vicario del tribunale torinese, in cui si parla di «raddoppio delle sopravvenienze collegiali, con un evidente effetto di rallentamento dei processi e in ultima analisi con un danno per le persone offese».
«I processi concernenti le fasce deboli - c’è scritto nel report letto da Barelli Innocenti - sono passati infatti dal 31,71 % del 2019 al 47,92 % del 2021 e al 46,94% del 2022». «Nel dettaglio - è la conclusione del passaggio letto ieri - rispetto al 2019 i processi collegiali concernenti le fasce deboli nel 2021 sono quasi raddoppiati, superando di gran lunga il numero di processi catalogati come generici». «Perché - si è chiesto Barelli Innocenti - in caso di reato aggravato il processo deve essere trattato da un collegio di tre giudici, quando con questi tre magistrati si potrebbero celebrare tre processi della stessa materia? Tanto più che il Gup (giudice per l’udienza preliminare - ndr) già ora tratta e decide da solo processi per reati molto gravi nei giudizi con rito abbreviato».
La grave carenza di organico nei palazzi di giustizia italiani - «mancano 1600 magistrati togati», è stato detto ieri, è stata confermata da Francesco Saluzzo, procuratore generale presso la Corte d’appello, che ha affermato: «Permane la situazione di grave sofferenza degli organici effettivi dei magistrati e del personale amministrativo». E’ «disastrosa», ha proseguito Saluzzo, la «situazione della procura di Ivrea, sofferente dal 2013». A Ivrea non ci sono magistrati sufficienti a svolgere tutti i procedimenti, dunque, ha detto Saluzzo, si sta lavorando «contra legem». Un ultimo affondo al governo, da Saluzzo, è stato lanciato sulle intercettazioni, che rischiano di essere - con le nuove modifiche normative - «depotenziate» come strumento di indagine. «È stato detto che i magistrati vedrebbero la mafia dappertutto - ha dichiarato Saluzzo - ecco, io penso che la questione vada esattamente ribaltata. È la mafia ad essere un po’ dovunque. E noi la cerchiamo e, ricordando che i magistrati non processano “fenomeni”, “costruiamo, faticosamente, indagini ed ipotesi di accusa da sottoporre al giudice». «Trovo straordinario - ha concluso - che in un mondo globalmente interconnesso, noi ragioniamo sull’abbandono dello strumento». Per poi aggiungere: «E che dovremmo fare? Ritornare ai pedinamenti? Ed essere eterni perdenti nella partita guardie e ladri?».
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