Da una parte, eroe dei due mondi e senatore di Francia (Victor Hugo lo definì «l’unico generale che ha battuto i prussiani»); comandante di una banda di briganti in camicia rossa dall’altra. Garibaldi, al quale immancabilmente ogni città d’Italia dedica una via o una piazza dopo il 2 giugno 1882 (data della sua morte), ha unito l’Italia ma divide ancora gli italiani. Un tempo, per il disprezzo snobistico dei reazionari che vedevano questo spettinato guerrigliero come fumo negli occhi; oggi, per l’astio rancoroso di chi rifiuta la penisola unita in virtù dei disastri economici, politici e sociali dell’Italia presente. A farne le spese è il biondo Nizzardo, autoproclamatosi Eroe dei Due Mondi (anche se in Sud America fu poco più di un corsaro...) ma veramente fautore dell’unità italiana che, se fosse stato per Vittorio Emanuele II, probabilmente si sarebbe fermata al Milanese. Cavour, nonostante la sua aristocratica alterigia, aveva bene in mente che ormai il dado era tratto e che bisognava procedere perché «Roma e solo Roma può essere la capitale d’Italia». Così, ecco che il machiavellico Cavour e l’impetuoso Garibaldi si trovarono. E chi si ricordava più di Ignazio Ribotti, pallido carneade che inizialmente il lardelloso primo ministro sabaudo aveva scelto per guidare la missione anfibia in Sicilia? Bisognava soltanto assicurarsi che lo scamiciato Garibaldi non facesse uno dei suoi colpi di testa, magari deviando dal suo obiettivo, che doveva essere il Regno delle Due Sicilie e non la Roma dell’odiato Pio IX. Garibaldi era un mangiapreti patentato, e volentieri avrebbe riprovato il fallito esperimento della Repubblica Romana. Ma dietro il Lombardo e il Piemonte, i due vapori che Garibaldi e Bixio “rubarono” (si legga: inscenarono di rubare) per portare i Mille a Marsala c’era la marina sarda, comandata da Carlo Pellion di Persano, che aveva il preciso ordine di cannoneggiare e colare a picco l’Eroe dei Due Mondi se a metà strada avesse deciso di sbarcare, poniamo, ad Ostia. Ma nessuna paura: Garibaldi sbarcò davvero in Sicilia e la sua missione ebbe successo, anche perché per lui garantiva l’Inghilterra, che è sempre la migliore delle garanzie. In più, il nostro era davvero un bell’uomo, con i capelli alla Nazarena e gli occhi azzurri, aveva fama di rubacuori e di eroe da romanzo; non a caso, girava con Alexandre Dumas, il papà dei “Tre Moschettieri”, alle calcagna. Insomma, Garibaldi sapeva creare il proprio mito. In Sicilia, prima ancora che sbarcasse, i venditori ambulanti proponevano insoliti “santini” di “Garibaldo liberatore”. Bello, alto, muscoloso e vincitore, vestito in modo eccentrico, con il poncho sudamericano e circondato di ragazzoni - per lo più bergamaschi - in camicia rossa. Dall’altra parte, l’anemico Francesco II delle Due Sicilie, ridicolizzato dalla stampa liberale che gli affibbiò il patetico nomignolo di Franceschiello o il simpatico titolo di Re Lasagna. Cosa volete farci, già si sapeva chi avrebbe vinto.
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