25 luglio 1943. Il Gran Consiglio del Fascismo si ribella al duce. È la prima volta: i gerarchi del regime votano contro Benito Mussolini: è una decisione presa di notte, a porte chiuse. Altre volte questo modus operandi è avvenuto ed avverrà nella storia d’Italia; non è dunque un caso. Ma l’ordine del giorno del 25 luglio 1943 ebbe ripercussioni mai viste nella storia della nostra penisola. Il Gran Consiglio del Fascismo approvò con 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto, l’ordi - ne del giorno presentato da Dino Grandi che esautorava Mussolini dalle funzioni di capo del governo: era la fine del regime. All’uscita, l’ormai ex duce veniva arrestato e il re assegnava al maresciallo Pietro Badoglio l’incarico di formare un nuovo governo.
Tre proclami furono letti quel giorno agli italiani. Questo è quello di Badoglio: “Italiani! Per ordine di Sua Maestà il Re e Imperatore assumo il Governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua. L’Italia, duramente colpita nelle sue provincie invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni. Si serrino le file attorno a Sua Maestà il Re e Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio per tutti. La consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita, e chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o tenti turbare l’ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito. Viva l’Italia. Viva il Re”.
E davvero “Viva l’Italia e viva il Re” fu il motto che contraddistinse il 25 luglio 1943. Ovunque. In tutta la penisola. Le immagini di allora ci rivelano cortei festanti, ebbri di una gioia ingenua: perché tutti pensavano che l’uscita di scena di Mussolini significasse anche la fine della guerra. Insomma, era un po’ come se fosse stato tutto uno scherzo: abbiamo giocato, è andata male. Pazienza. Una farsa all’italiana, tipica di un paese in cui la risata ha però un sapore amaro, tragicomico. Mentre venivano abbattuti i fasci littori e gli italiani speravano che l’incubo delle bombe, il miagolio delle sirene, il tracollo economico e la guerra nel Meridione finissero nel giro di qualche ora, la storia procedeva silenziosa e veloce. Il generale Castellano, grazie ai rapporti intessuti da Maria José e dal principe Umberto, si recava a Lisbona per incontrare i suoi omologhi, lo statunitense Walter Bedell Smith e il britannico Kenneth Strong.
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Gli “Alleati”, ai quali gli italiani andavano con la mano tesa, non ricambiarono il saluto: Castellano fu accolto gelidamente, nessuna stretta di mano e pochissimi convenevoli. Se seppe poi che quell’accoglienza glaciale fu provata e riprovata, ed era parte di un copione che doveva intimorire l’Italia. Ma fosse stata tutta una recita! Nell’agosto più strano della storia del Belpaese il governo in preda al panico si affidò alle gelide cure degli Alleati. Altri, ben meno agitati ed anzi freddamente razionali, i tedeschi, ebbero il tempo di rafforzare le loro posizioni attendendo l’inevi - tabile proclama dell’8 settembre. E tutti sappiamo come andò a finire.
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