La parola era inglese, e allora la conoscenza delle lingue straniere non era certo diffusa come oggi. Ma quando Mariano Rumor la pronunciò per la prima volta al termine del consiglio dei ministri del 22 novembre 1973 gli italiani compresero subito che non premetteva nulla di buono. Austerity aveva il gusto ferroso della guerra, della miseria, della fame. E si sarebbe tradotta con un taglio senza precedenti dei consumi energetici che sarebbe culminato, il 2 dicembre, con la prima domenica senz’auto della storia d’Italia. Provvedimento discusso, ma inevitabile. In risposta all’appoggio americano ed europeo allo Stato d’Israele stretto nella tenaglia araba della Guerra del Kippur, i Paesi del Golfo imposero l’embargo petrolifero all’Occidente, mentre la chiusura del canale di Suez aveva fatto lievitare i costi di trasporto del greggio a livelli senza precedenti.
E chi è appassionato di corsi e ricorsi storici sappia che il pacchetto di contromisure varato dal governo Rumor prevedeva innanzitutto una limitazione per l’orario di accensione dell’illuminazione pubblica e un contingentamento delle temperature e degli orari degli impianti di riscaldamento privati. Tutto, pur di risparmiare sul consumo dei carburanti che avevano subito un aumento dei prezzi nell’ordine del 40%. I cinema dovevano chiudere alle 22, l’edizione serale del telegiornale venne anticipata alle 20 in modo che tutte le trasmissioni Rai terminassero alle 22.45, tutti i locali pubblici avevano l’obbligo di tirare giù la serranda alle 23. E soprattutto c’era la stretta sul simbolo del raggiunto benessere figlio del Boom appena concluso: l’automobile. Entrò subito in vigore una riduzione dei limiti di velocità, a 100 all’ora sulle strade extraurbane e a 120 all’ora sulle autostrade, e due settimane dopo l’annuncio di Rumor si procedette con lo stop totale alla circolazione nella domeniche e nei festivi. Per i torinesi il 2 dicembre fu una giornata quasi surreale: strade senza traffico, invase da biciclette, pattini a rotelle, addirittura da qualche nostalgico in calesse. Non immaginiamoci, infatti, una giornata di blocco come quelle alle quali siamo abituati oggi, in una giungla di deroghe che permettono più o meno a chiunque di utilizzare l’auto. Nel 1977 si faceva sul serio: a circolare potevano essere solo i mezzi del corpo diplomatico, del servizio di trasporto pubblico, del 118, delle forze armate e dell’ordine, dei pompieri, dei medici e veterinari, dei postini, dei distributori di giornali e dei sacerdoti, ma solo nei confini della propria diocesi. Persino il Presidente della Repubblica e i ministri potevano spostarsi, solo per indifferibili urgenze, unicamente su mezzi pubblici o delle forze armate. Draconiane le pene per chi sgarrava: multe da 100mila lire a un milione (lo stipendio medio di un operaio era di 154mila lire) e sequestro del mezzo.
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Ben presto quella parola “austerity” entrò nel linguaggio comune. E anzi molti impararono ad apprezzarla come simbolo di rigore anglosassone contrapposto all’italico vizio di fare lo slalom tra le regole. Poi, fatta la legge trovato l’inganno: dalla primavera 1974 il governo optò per un più soft regime di targhe alterne. Via libera alle auto, anche se dimezzate.
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