La cimice

Nella stanza del mio ufficio c’è una porta-finestra che dà su un cortiletto adornato con fiori e piante. Alzando lo sguardo oltre lo schermo del Pc vedo il cielo e la collina vicina sopra i tetti. Spesso si posano uccelli sul vecchio muro, quasi sempre cornacchie, ma anche passerotti, merli e gazze. Quando arriva una gazza, io le dico sempre tra me e me: “ciao, Titti”. Amo credere che le gazze e le farfalle siano gli esseri volanti in cui mia figlia prende corpo per venire a salutarmi. E’ sempre stato così da quando è andata in cielo. Scorrendo Facebook vedo foto di babbi, postate per la festa del papà, con frasi commoventi e poesie. E’ bello che ci sia un giorno preciso dedicato al ricordo degli scomparsi, ma ognuno di noi sa che certi ricordi non hanno data. Io penso spesso ai miei genitori, e anche ai nonni, ai parenti e amici cari che non ci sono più, ma la stretta della nostalgia non è mai forte come quando penso a Maria Claudia. Non si può spiegare cosa significhi per un genitore la perdita di un figlio. Giovane o vecchio, non importa. Non si dovrebbe mai sopravvivere ai figli. In questo momento su un vetro alto della finestra si muove avanti e indietro, nitida macchiolina nera contro il cielo, una cimice delle piante. Non si capisce se sia fuori e voglia entrare, o viceversa. L’unica cosa certa è che il vetro glie lo impedisce. Trasparente come un vetro è anche la cortina misteriosa che separa i vivi dai defunti. Loro vorrebbero venire di qua, noi vorremmo andare di là, anche solo per poco, ma non si può. Così ci salutiamo attraverso il vetro, mentre il cuore si stringe. La cimice continua a camminare su e giù. Chiunque tu sia, ciao.

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