Hasta mi asta, comandante

Ogni tanto in piola mi chiedono di cantare “la locomotiva” di Guccini. È un brano da orecchianti del ‘68, da finti radical coi jeans firmati che vogliono sniffare in taverna la pista della rivolta, ma solo in musica. Come le canzoni partigiane, rubate alle mondine e ai contrabbandieri. Come “Hasta siempre comandante”, la canzone che celebra come un Gandhi quel crudele assassino razzista, omofobo e classista che fu Che Guevara. Uno che uccise di persona (e non in combattimento) 144 cubani. Uno che scrisse nel suo diario “i negri sono indolenti e puzzano perché non si lavano”. Uno che recluse in un gulag i gay, i trans e le lesbiche perché “peccavano contro la morale rivoluzionaria”. Uno che predicò sempre e solo odio e vendetta.

No, io non le canto quelle canzoni. Non ci si può indignare contro il kamikaze talebano che ad agosto ha fatto 200 morti a Kabul e poi celebrare come un eroe (“gli eroi son tutti giovani e belli”) Pietro Rigosi, il macchinista-kamikaze anarchico che nel 1893 rubò una locomotiva (“la bomba sua la macchina a vapore”) e si lanciò a tutta velocità contro “un treno di signori” solo perché era “di lusso, lontana destinazione”.

Anche se fu deviato su un binario morto dove si schiantò (sopravvivendo, seppure mutilato) contro i vagoni in sosta, Rigoni era partito deciso a uccidere centinaia di persone tra cui donne, bambini, vecchi, e anche i suoi colleghi (macchinisti e personale) del “treno di lusso”. E cosa fece a Rigoni la società di “re e tiranni” contro cui (dice Guccini) “cominciava la guerra santa dei pezzenti”? Non solo non lo arrestò, ma non lo licenziò neanche. Lo mandò in pensione con un lauto mensile da invalido del lavoro. No, io non le canto quelle canzoni.

collino@cronacaqui.it