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Spifferi e pifferi

Young man telling gossips to his woman colleague
Tra le persone ci sono due categorie che mi danno un po’ fastidio: gli invidiosi e i pettegoli. Chi soffre d’invidia (che è una specie di malattia psichica) patisce da cani, e finisce sempre per grattarsi questo prurito sparlando dell’invidiato. E qui siamo ai pettegoli. Il pettegolezzo si propaga a macchia d’olio come la calunnia, che come scrisse il librettista di Rossini è un venticello che “piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando, va scorrendo, va ronzando nelle orecchie della gente, s’introduce destramente e i cervelli fa stordir”. L’uomo ha una strana attrazione verso le cose negative. Se tessi le lodi di qualcuno nessuno ti fila. Se lo diffami tutti ti ascoltano. Se dici “correte, ci sono due anziani che si tengono per mano su una panchina” ti ridono in faccia. Se dici “dietro l’angolo ci sono due che si picchiano a sangue” tutti corrono a guardare. Pare però che ci sia una spiegazione scientifica alla gradevolezza del gossip, che avrebbe sul cervello (secondo uno studio dell’Università di Pavia) un effetto simile a quello procurato da un cibo gradito. L’antropologo inglese Robin Dunbar già negli anni ‘90 aveva riconosciuto anche l’utilità sociale e relazionale del pettegolezzo, la sua “capacità positiva” di procurarci senso di appartenenza e d’identità condivisa. Spettegolare – diceva Dunbar – rappresenta circa il 14% delle conversazioni quotidiane e ci fa sentire più connessi al mondo, ci aiuta a creare relazioni. Anche a migliorarle, perché le cementa creando complicità. Chi si fa i fatti suoi, invece, sarebbe un tipo chiuso, asociale, omertoso ed egoista. Capito? Io che non bado manco a com’è vestito chi mi parla, son bell’e fritto.

collino@cronacaqui.it
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