Tòta Franca

Passano persone, in collina, mica gente. Praticanti del jogging solitari, a coppie, a gruppi. Iconici i solitari: sono quelli che vanno troppo piano per essere aspettati (e li vedi tranfiare, goffi e stravolti, verso le loro spietate bilance), o troppo forte per aspettare (e li vedi caracollare, eleganti, con l’auricolare). I gruppi chiacchierano a frasi brevi (che invidia: io riuscirei a malapena a rantolare) e mi viene il dubbio che i più allenati parlino apposta per smascherare quelli che faticano a tenere l’andatura. Non li staccano, ma li umiliano forzandoli a risposte affannose. Passano anche personaggi curiosi come quella giovane bionda carnosa che marciava con la bici al fianco, seguita da una muta di cagnolini festanti. Tutti i giorni, estate e inverno. Poi scomparve, e riapparve qualche tempo dopo senza cani, ma con un bel bimbetto sul sediolo della canna, biondo come lei, e dopo ancora con un secondo, avendo passato il primo a poppa, sul portapacchi. Ora è un bel pezzo che non la vedo: avrà mutato abitudini, o percorsi. Invece seguita a passare lei, tòta Franca, la ex bibliotecaria ormai in pensione. Da tanti anni, sempre più lenta e curva, ma sempre pronta al sorriso, pur se malinconico, e al saluto cerimonioso. La vedo anche in chiesa, in fondo, chiedere a Dio la forza di continuare a lottare contro quella sua rara malattia che le impone di non fermarsi mai, pena la paralisi (così dicono). E lei continua, sempre più adagio, appoggiandosi ai muri e fermandosi ogni poco, che stringe il cuore a vederla strisciare così. Mi vien voglia di scendere dall’auto e mormorarle “coragi, tota Franca”, io che da lei potrei prendere lezione, di coraggio, altro che darne.

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