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Latitanze dorate

messina denaro
Man mano che decanta l’entusiasmo iniziale per la cattura del boss Messina Denaro, affiorano molti pensieri, il primo dei quali è il sospetto che alla sua “imprendibilità” abbiano concorso certe protezioni “in alto loco” e anche il rispetto di cui gode ancora la mafia in Sicilia. Un anziano di Castelvetrano, intervistato dalla Tv, alla domanda “è contento che lo abbiano preso?” ha risposto candidamente “no, era una brava persona”. Don Matteo non ha passato 30 anni di latitanza sepolto vivo. Si spostava fra i covi, vestiva firmato, aveva relazioni sessuali, comprava Viagra e profilattici, si era fatto trapiantare i capelli, faceva le analisi col SSN in una clinica palermitana esibendo una Carta d’identità e un Codice Fiscale falsi, mai incrociati in alcun sistema informatico del Comune, della Regione, dello Stato o della Polizia. Niente chirurgia plastica: è uguale all’identikit che vediamo da 20 anni, ma le nostre Forze dell’Ordine, mentre lui girava a viso aperto per Palermo, salutava la gente, chiacchierava, andava al ristorante e si faceva anche dare la ricevuta fiscale, erano troppo occupate ad inseguire con gli elicotteri i runner che correvano sulla spiaggia durante il lockdown. Dicono che lo hanno catturato grazie alle intercettazioni telefoniche: prima, allora, viveva in zone dove non c’era campo? Una volta preso, poi, hanno dato ai suoi complici il tempo di ripulire il bunker dai documenti scottanti, come era successo con Totò Riina, il che fa pensare che persone molto in alto temano l’emersione di quelle carte. Però il riguardo nei suoi confronti non è mancato: l’han portato fuori dalla clinica senza manette. In fondo non era mica pericoloso come Enzo Tortora.

collino@cronacaqui.it
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