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A 18 anni dal dramma

Quella notte infernale: domani l’anniversario della tragedia Thyssenkrupp

Sei operai morirono, travolti da una fiammata che in pochi secondi spazzò via vite, certezze e il velo di normalità che copriva una fabbrica ormai allo stremo

Quella notte infernale: domani l’anniversario della tragedia Thyssenkrupp

La storia della Thyssenkrupp di Torino è una di quelle che segnano un’epoca. Una ferita aperta non solo per la città, ma per l’intero Paese: perché quella fabbrica di corso Regina Margherita è diventata il simbolo di ciò che può accadere quando sicurezza, formazione e prevenzione vengono percepite come costi invece che come necessità vitali.  Il 6 dicembre 2007, dentro quello stabilimento ormai destinato alla chiusura, si consumò una delle più gravi tragedie industriali italiane del dopoguerra. 

Poco dopo l’una, durante il turno notturno, sulla linea 5 dell’acciaieria si sviluppò un incendio causato dalla fuoriuscita di olio bollente da un impianto. Le fiamme si propagarono in pochi secondi, trasformandosi in una “lingua di fuoco” lunga decine di metri.

Gli operai presenti, sei in totale, vennero investiti dal rogo mentre tentavano di spegnerlo con mezzi di fortuna: non c’erano sistemi automatici antincendio attivi né personale specializzato adeguatamente formato. Cinque operai morirono nei giorni successivi per le ustioni gravissime riportate; un sesto resistette fino al 30 giugno 2008. Le vittime furono: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Giuseppe De Masi e Rosario Rodinò. La città si svegliò sotto shock. Le immagini dei soccorritori, le testimonianze dei colleghi, i racconti dei familiari: tutto indicava che ciò che era successo non poteva essere archiviato come una fatalità. Le prime verifiche della procura di Torino portarono alla luce una situazione preoccupante. Lo stabilimento era in fase di dismissione e, secondo gli investigatori, proprio per questo la multinazionale tedesca aveva ridotto al minimo investimenti, manutenzione e misure di sicurezza. Gli estintori risultarono non funzionanti, il personale non era stato formato per affrontare incendi di quella portata e l’impianto antincendio automatico non era attivo. Il quadro investigativo, guidato dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, delineò una responsabilità che andava oltre il singolo incidente: un modello gestionale che, secondo l’accusa, privilegiava il risparmio a scapito della tutela dei lavoratori. Il dibattimento si aprì nel 2009. Fu il primo grande processo italiano per un incidente sul lavoro in cui venne ipotizzato il dolo eventuale: cioè la consapevolezza da parte dei vertici dell’azienda di accettare il rischio che un evento del genere potesse accadere. Nel 2011 arrivò una sentenza storica:Harald Espenhahn, amministratore delegato tedesco della Thyssenkrupp, fu condannato a 16 anni e mezzo per omicidio volontario con dolo eventuale. Condanne pesanti anche per altri dirigenti: tra gli 8 e i 13 anni. Una decisione mai vista prima in Italia. Nel 2013 la Corte d’appello ridusse le pene e riqualificò l’imputazione più grave da omicidio volontario a omicidio colposo aggravato. Venne riconosciuta la gravità della condotta aziendale, ma esclusa la volontà, anche solo “eventuale”, di accettare il rischio della morte degli operai. Nel 2014 la Cassazione confermò questa impostazione e rinviò parte del processo alla Corte d’appello di Torino, che nel 2016 definì le pene: per Espenhahn 9 anni e 8 mesi, per gli altri dirigenti pene tra i 6 e i 7 anni. Espenhahn, intanto tornato in Germania, fu estradato a seguito del mandato d’arresto europeo e scontò parte della pena in un carcere tedesco. Il dramma della Thyssenkrupp ha cambiato la percezione pubblica della sicurezza sul lavoro. Ha introdotto nel dibattito giuridico italiano concetti come la responsabilità dei vertici e l’importanza dei modelli organizzativi. Ha reso evidente che la sicurezza non è un adempimento burocratico, ma una scelta aziendale che può salvare vite.

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