Dove si trovava il vecchio tribunale della città di Torino? La sua sede era in un edificio diventato oggi quasi anonimo, ma un tempo era molto famoso: stiamo parlando della Curia Maxima o Corte d’Appello, situata nell’omonima via. Ufficialmente era la sede del Senato del Regno di Sardegna. Si tratta di un edificio imponente e severo che risale agli anni 1838-1839, opera di Ignazio Michela. Il Regio Senato costituì, fino all’istituzione della Corte di Cassazione nel 1847, il massimo grado della giurisdizione sarda. Non soltanto i suoi giudici emanavano delle sentenze inappellabili, ma le pronunce del tribunale costituivano fonte di diritto. I magistrati erano di nomina regia e nella gran parte dei casi erano nobili. Il palazzo fu voluto da re Vittorio Amedeo II, all’inizio del Settecento. Un secolo più tardi, re Carlo Felice fece progettare la nuova ala del palazzo, ammodernandolo e modificando i precedenti progetti di Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri.
L’edificio, a dirla tutta, fu a lungo incompleto, perché fu in parte occupato dalle antiche carceri senatorie, le temibili prigioni di Torino. Prima di poterne usufruire in tutte le sue aree bisognò attendere il 1878. Le prigioni senatorie erano le principali carceri della capitale sabauda. Si trovavano nel retro del palazzo, affacciate a via San Domenico ed erano luogo temuto da tutti i criminali piemontesi, ma anche dai semplici cittadini timorosi di trovarsi per qualche malaugurato accidente nei meccanismi della giustizia.
Al portone di via San Domenico 13 abitava il boia di Torino, in un appartamento all’ultimo piano preso in affitto, immediatamente confinante con le prigioni dove venivano rinchiusi i condannati a morte. Era curioso immaginare che nello stesso edificio vivessero vittima e carnefice. Qui, con tutta probabilità, abitò l’ultimo e il più celebre boia di Torino, Pietro Pantoni. L’indirizzo esatto non si sa, ma sappiamo dall’avvocato genovese Giacomo Borgonovo, che ne parla nel suo libro Il patibolo, il carnefice ed il paziente, che Pantoni abitava nel retro del palazzo del Senato.
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L’autore lo incontrò il mattino del 1° giugno 1865 in casa sua. Scopriamo così che Pantoni abitava all’ultimo piano, sopra la casa del custode, in un piccolo appartamento che ha le finestre, dalla parte della strada, con i tavolati che sono posti anche alle finestre dei conventi, delle prigioni e delle case di tolleranza. Non è un caso che Pantoni abitasse in questo luogo: gli «esecutori di giustizia» (questo il loro nome nel gergo burocratico di allora) abitavano con le loro famiglie in alloggi di servizio, a due passi dal luogo di lavoro. Era un modo per evitare le malignità di un popolino che vedeva di mal occhio il boia, considerato un sadico e un nemico dei poveri. Molto spesso, infatti, i condannati a morte erano dei poveracci, divenuti briganti, ladri o assassini per le ire di una sorte avversa.
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