Il coraggio di dire le cose

Li hanno candidati al Nobel per la pace, celebrati con un francobollo, chiamati eroi. Ma i complimenti, ai nostri infermieri, non bastano più. Perché gli ospedali, anche se il Covid ha allentato la morsa, rimangono una trincea. E delle medaglie, queste donne e questi uomini che in corsia combattono tutti i giorni, non sanno più che farsene. Chiedono altro, mentre in piazza Castello sventolano le bandiere azzurre del sindacato Nursind e viene deposta una corona di fiori per ricordare i caduti. Pretendono che alle lodi e alle promesse seguano i fatti. Investendo soldi e spendendoli bene, assumendo personale e organizzando modelli di assistenza, di territorio, percorsi di cura, valorizzazione delle competenze. Invece, sostengono gli infermieri, dopo quattordici mesi dall’inizio della pandemia «ci troviamo di fronte ad una sanità flagellata, smembrata, confusa esattamente come dopo una guerra dettata dalla continua esigenza di rispondere all’emergenza». E il timore è che, nonostante tutto, «nulla cambierà». Parole forti. Che fanno male. E che dovrebbero far riflettere, visto che provengono da coloro che i malati li hanno visti spegnersi l’uno dopo l’altro sotto i propri occhi. Una lunga strage che, almeno in parte, si sarebbe potuta (e dovuta) evitare. Perché «non è stato solo il virus - sostiene il Nursind - a provocare cosi tanti morti». Ma anche la precarietà di un sistema che da oltre un decennio è stato oggetto soltanto di tagli. Ci vuole uno scatto, allora. Servono idee e risorse. E anche il coraggio di dire come stanno davvero le cose.

stefano.tamagnone@cronacaqui.it