Sarà un green pass all’italiana, è stato detto quando l’Europa dibatteva su metodi e obblighi tra mille interrogativi. Sembrava una garanzia. E invece, man mano che passano i giorni, i nodi vengono al pettine. E allora quel green pass all’italiana assume il significato che siamo abituato a dare alle faccende mal riuscite di casa nostra. Questo, però, non è un film di Vanzina ma la realtà e in gioco ci sono due diritti fondamentali: la salute e la libertà individuale. In mezzo c’è la pandemia, che non è finita, anzi minaccia di farci convivere con un virus che muta ma non si accuccia ai piedi della scienza. La politica ha scelto la salute, prima della libertà ma l’ha fatto senza avere il coraggio di imporre l’obbligo vaccinale, introducendo un certificato facoltativo che nella vita di tutti i giorni finisce per restare in saccoccia o sull’app del telefonino. L’esempio più banale, ma anche dai risvolti più pericolosi proprio per la salute, riguarda il trasporto urbano. Per capirci: il green pass è obbligatorio per salire su un treno ad alta velocità, un aereo, un traghetto. O per andare in crociera. Ma non è richiesto per tram e bus, ossia per il trasporto urbano che da sempre è considerato a grande rischio. Specie ora che cominciano le scuole e la capienza dei mezzi è salita all’80 per cento. Che, tradotto in pratica, ossia all’italiana, vuol dire che saranno pieni come un uovo. Un’incongruenza grave e non la sola, se - restando in campo scolastico - andiamo a verificare cosa sta accedendo nei vari istituti in cui il certificato è obbligatorio per i docenti, ma non per gli esterni e gli allievi. Di fatto, una scarpa e una ciabatta. In un clima che si arroventa con tensioni e minacce dei No Vax a medici, giornalisti e politici, che mette in campo la magistratura che indaga su possibili fatti di terrorismo. Il rischio, anche se l’annuncio del primo blocco delle stazioni si è tradotto in un flop, resta il colpo di testa di qualche facinoroso che cavalca l’onda del dissenso.
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