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La paura dietro le baby gang

Gang Of Youths Fighting

Foto Depositphotos

Adesso non dite che per fortuna una volta c’era l’oratorio, che i ragazzi sapevano dove andare, che c’era chi si occupava di loro... Sì, l’oratorio c’era ma c’era anche la strada, il cortile dove giocare o il parco per la partita di pallone se eri fortunato, ché in certe parti della città molte di queste cose non c’erano. E c’erano le bande, da quelle di dispettosi bulli a quelle di veri e propri criminali in erba, fino ai gruppi che si identificavano come banda principalmente come riconoscimento di uno stile, di una condivisione di un genere musicale o altro. E gli scontri c’erano, eccome se c’erano. Ci spaventano, oggi, le baby gang - ma attenzione, dice giustamente la procuratrice Avezzù: non chiamiamole così, sono ragazzi e ragazze - che arrivano dalle periferie per rapinare i coetanei che sembrano più ricchi o fortunati? Che gran scoperta! Negli anni ‘80 bastava avere un chiodo di pelle per rischiare di farselo rapinare, per tacere di tanti paninari che sono tornati a casa scalzi, privati delle loro Timberland. Poi c’erano i cabinotti contro i tamarri, i Mods magari contro i rockabilly, i metallari contro i paninari e i punk contro tutti. Era meglio, era peggio? Perché ciò che vediamo oggi fa più paura? Perché viene amplificato dai video in circolazione sui social, dall’insensatezza degli atti criminali - quelli veri - anche da parte di quelli che definiamo ragazzi «normali»? Esiste il disagio e ci sono ragazzi e ragazze fragili, soprattutto dopo quanto abbiamo passato e che non è ancora finito. E perché, attorno a loro, c’è un mondo adulto che non riesce a mostrarsi tale, che di fragilità ne ha anche di più e che reagisce alla paura con l’aggressività.

andrea.monticone@cronacaqui.it
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