A pensarci sembra sia trascorso un tempo infinito da quando è cominciata questa tragedia. Eppure siamo solo al settimo giorno di guerra e la Russia continua ad attaccare con ferocia le città dell’Ucraina. E lo fa con armi eccezionalmente letali comprese le bombe termobariche e quelle a grappolo. Con i missili e con uno sterminato esercito che assedia le città, ha conquistato la più moderna centrale atomica d’Europa quasi a dare un monito, e non solo a questo sfortunato paese. I civili morti sarebbero già più di duemila e nulla si sa dei soldati e dei volontari corsi al fronte. Kiev, la capitale, è sotto bombardamenti, centri come Mariupal sono addirittura senza acqua perché è stato minato l’acquedotto. E questi sono solo esempi, puntini sulla mappa di un’invasione feroce, o peggio satanica, innescata da uno zar che sta calpestando anche la storia del suo paese. Chiedersi oggi quanto durerà questa guerra è impossibile, anche se un soldato russo catturato dalle milizie ha svelato che Putin aveva assicurato loro che sarebbe stata una passeggiata di tre giorni. La guerra lampo di hitleriana memoria. Ma non ha funzionato e ora questa terra martoriata potrebbe essere teatro di una guerriglia lunga persino degli anni. Dieci, azzarda un militare di lungo corso che ha memoria del disastro del Vietnam. E questo ci dà il senso di una guerra dell’incertezza dove oltre alle armi si combatte con le parole. O meglio con le minacce. Come quelle del ministro degli Esteri Lavrov che continua a suggerire scenari apocalittici, immaginando uno scontro diretto tra Russia e Nato, in una «terza guerra mondiale che sarebbe nucleare». Ciò nonostante le fonti dell’Alleanza Occidentale abbiano spiegato, ancora ieri, che nonostante la Russia abbia tradito gli accordi con le Nazioni Unite, «non manderà il suo esercito e non invierà aerei nel cielo dell’Ucraina». Il dialogo politico e diplomatico dunque si muove su un terreno infido ove è urgente quantomeno aprire un corridoio umanitario da Kiev e dalle città sotto scacco verso la sicurezza occidentale. Fornendo la prima assistenza a chi varca i confini di Romania, Polonia e Moldavia. Ma non solo: occorre trovare una sistemazione dignitosa per quegli oltre cinquecentomila profughi, quasi tutti donne e bambini, che si sono messi in salvo. Così Torino e il Piemonte, solo apparentemente lontani da questo fronte, proprio ieri hanno riunito tutti i prefetti, i sindaci, i questori, i magistrati e i vertici delle forze di polizia, per parlare di sicurezza ma soprattutto di un piano per i soccorsi. Il segno che la mano è tesa verso i bisognosi, ma si stringe anche il pugno verso possibili attentati terroristici e ci si attrezza per fronteggiare eventuali emergenze legate al difficile momento internazionale. Tutto va letto con la consapevolezza che solo la prevenzione può garantire quella sicurezza che tutti auspichiamo.
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