La cronaca è fatta di uomini e donne, delle loro storie che raccontano le tante facce di una città, le sue trasformazioni. Colorata di bianco, quando si tagliano i nastri. Nera, quando è scritta con le lacrime e con il sangue. La cronaca è fatta di testimonianze. Ma pure di immagini. Che sovente dicono più, e meglio, delle parole. Come le fotografie condivise su Facebook dal fotografo torinese Edoardo Sismondi, che ci raccontano come un cantiere del passante in via Cigna possa trasformarsi in roccaforte degli spacciatori. Con un cancello a dividere il mondo dentro dal mondo fuori. Pusher da una parte, clienti dall’altra, e una barriera in mezzo che quando arrivano i lampeggianti blu permette di guadagnare minuti preziosi, nascondere la roba e scappare via, senza finire con i braccialetti d’acciaio e trascorrere 48 ore in camera di sicurezza prima della (quasi sempre automatica) scarcerazione. Il mondo dentro, è quello dei pusher. Ragazzoni africani che si danno il cambio allo “sportello” della droga. Che è aperto 24 ore su 24, e accetta solo contanti. Uomini e donne fanno la coda. Pagano, mettono in tasca qualche pallina e tornano, svelti, sui propri passi. È il mondo fuori, senza il quale non esisterebbe quello dall’altra parte in cui soltanto a pochi è concesso di essere ammessi. Accade soprattutto alle ragazze, che in questo mercato di polvere bianca si dice mettano sul banco i propri corpi straziati dall’abuso di sostanze per saldare i propri debiti. Nulla di nuovo, purtroppo. Il triste spettacolo delle anime perse non è che una replica di ciò che accadeva in un altro teatro dell’orrore. Lo ribattezzarono Tossic Park. Era qui vicino. Ed era una città nella città, relegata laggiù in fondo, vicino ai campi rom abusivi, ai margini di questa periferia abbandonata, lungo le sponde di un torrente, lo Stura, che ha visto scorrere fiumi di droga. E sangue. Il Tossic Park era il lato oscuro di Torino. Un parco in cui tossici e pusher avevano trasformato le carcasse di auto in case, gli anfratti tra le piante in narcosale. Offriva tutto: droga white, crack, speed, cocaina. Vendute da quaranta, cinquanta africani che si davano i turni, sfruttavano i tossici come sentinelle ripagandole con la droga, le donne con dosi date in cambio di sesso. Erano loro a dettare legge. E mentre chi rappresentava la legge contava i morti per overdose e provava a stanarli con blitz in elicottero o a cavallo, facevano affari d’oro. Poi è arrivata la fine, in un pomeriggio d’esta - te, immortalata in una foto con decine di spacciatori seduti a terra, con le manette ai polsi. Era il 2007, 15 anni fa. Applaudirono in tanti. E vennero fatti importanti annunci. Che in politica si chiamano promesse, e sovente fanno una brutta fine. «Restituiremo questo spazio alla città, ai cittadini, ai ragazzi», si disse. «Faremo un campo da golf». Ma le buche dove ci si bucava nessuno le ha fatte. E un vecchio saggio del quartiere sorride amaro: «Del golf ci hanno dato solo le palle».
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