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Yosef, «l’ebreo volante» che correva più veloce dei nazisti e dell’orrore

EbreoVolante

Corre veloce il ragazzo, corre come mai ha corso prima, corre perché è la sua vita, mai come in quel momento, ma i molossi lanciati alle sue spalle, con ancora le zanne insanguinate, sono più veloci, sono più potenti, sono la ferocia della storia, della crudeltà eretta a sistema che inseguono l’innocente. Ma il destino non è mai solo cinico e crudele...

E’ una storia talmente affascinante quella de “L’ebreo volante” (Albatros, 13,50 euro) di Silvano Morese che vorresti fosse vera: perché c’è dentro la speranza, la voglia di resistere, la forza di andare oltre le disgrazie, la morte, l’orrore. Di corsa, quasi volando.

Yosef Lamberg è andato di corsa tutta la sua vita, in un modo o nell’altro: già nella pancia di sua madre Eliza, nell’orrore del lager di Buchenwald, nella vita dopo la guerra che pareva non poter riservare pace a questo giovane, costretto a fare i conti con la persecuzione del Fato e degli uomini. La sua storia inizia ai giorni nostri, con il suo funerale, un funerale assurdo come tutto o quasi lo è stato nella sua vita: il carro funebre, infatti, arriva al cimitero a tutta velocità e senza controllo a causa di un incidente, perché chi è andato di corsa tutta la sua vita non può che continuare a correre anche da morto.

Tocca a sua moglie raccontare con grazia a una giovane giornalista la sua vita così particolare, così toccante, che è il modo di raccontare la storia di tutto un popolo, anzi di più di un popolo: non solo gli ebrei perseguitati, ma anche gli italiani non sempre «brava gente» e ovviamente i tedeschi, non tutti nazisti, come alle volte la Storia vorrebbe semplificare, prendendo le scorciatoie degli uomini.

Partiamo da lontano, da Eliza che corre nella notte di Torino per fuggire al suo stupratore e probabile assassino. Che prima ha corso per salvarsi dalla crudeltà dell’orfanotrofio e prima ancora dalle fiamme e dalla calca di una nave diretta in America e che in America non ci arriverà mai. Orfana, sfruttata da figure meschine, Eliza deve trovare la forza di sopravvivere, ma pagherà un caro prezzo. Unica sua gioia, e forza, il figlio Yosef, che come lei ha il talento della corsa, che impegnerà su una pista ben più dura di quella dell’atletica.

Silvano Morese, di professione grafico pubblicitario, uno dei membri del grande gruppo di TorinoCronaca, si dedica a questa storia con passione e scrittura chiara, inserendo in un meccanismo narrativo classico il vissuto dei suoi personaggi, non solo Eliza e Yosef Lamberg, ma anche il falso medico Petronio, il capitano nazista, il vinaio tedesco, tutti resi con capacità quasi filmica, in un ritmo narrativo che affascina il lettore. Al quale pare di cogliere il respiro di Yosef in gara, di sentire il tonfo dei suoi piedi sulla pista ma anche il viscido affondare nel fango del bosco durante la corsa per salvarsi la vita. Ciascuno di noi, in quel frangente, è inseguito dai molossi, ciascuno di noi ha sentito urla e lasciato indietro qualcuno, ma il primo comandamento del cuore e della testa è «resta vivo». Per sperare ancora nel domani, per ritrovare il senso di un abbraccio, un calore di madre. E poi, anni e anni dopo, l’appartenenza, l’orgoglio, ma questa è storia lontana che non è ancora il tempo di svelare. Si può solo dire che un Lamberg, anche oggi che gli orrori sono altri, continua a mulinare braccia e gambe, a correre, a volare sulla pista e nella vita.

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