l'editoriale
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04 Novembre 2021 - 08:49
Il romanzo d’esordio di Stefano Vicario, romano classe 1953, regista di alcuni Festival di Sanremo e dei Cesaroni: “Il re degli stracci” (La nave di Teseo, 17 euro). Protagonista, un avvocato, Andrea Massimi: infedele, vanesio, imprevedibile, mentre il suo socio, nonché fratello, Giorgio è un uomo tutto d’un pezzo, rispettabile e dalla moralità granitica. Ma una sera, la vita di Andrea va in pezzi, «con un fragore che lo assordò». Sua moglie Marzia e la loro bambina vengono uccise in casa. Proprio mentre lui è con un’altra donna, un’impiegata dello studio legale.
Andrea, perseguitato dai sensi di colpa, fugge per vivere da barbone assieme a un gruppo di senzatetto in un vagone abbandonato alla stazione Termini di Roma, illudendosi di aver ritrovato pace. Fino a quando non riconosce al polso di una trans un braccialetto che aveva regalato alla moglie.
In una città - che è Roma ma può essere qualunque luogo, questa è la forza di una narrazione dal basso - vista con gli occhi di chi normalmente è invisibile, tra poliziotti corrotti e umanità dolente, Andrea indaga aiutato dagli altri clochard, tra cui la cieca Flora, e da Anna, sostituto procuratore fuori dagli schemi. Cercando intanto il perdono del fratello, disperando di avere il proprio. Intenso.
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