l'editoriale
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23 Giugno 2022 - 08:35
Amedeo è un ragazzino che, per dirla con De André, si innamora di tutto e corre dietro ai cani, o sarebbe meglio dire al pallone, visto che è davvero bravo, il «picciriddu». Ama la giovane Loretta Goggi protagonista della Freccia nera, scopre l’esistenza delle ragazze con Silvia, mentre nella «main street» di Torino, ossia via Milano, il 1969 scorre via tra trionfi di Gianni Morandi, milionari alla lotteria e lo sbarco sulla Luna, ma anche la strage di piazza Fontana che spazza via la stagione dell’innocenza.
“Una storia di quartiere” (Intrecci, 12 euro) del giornalista nichelinese Antonio Infuso è un romanzo di formazione, è una storia in bianco e nero nel cuore di una Torino dimenticata. Lì nel centro sospeso tra portici e Porta Palazzo, ci sono le storie di immigrati, di povera gente e di famiglie che il lontano boom economico non l’hanno propriamente goduto... Sfilano le 124 spider e le Simca verdi, il «picciriddu» Amedeo è amico del boss del quartiere, don Pino. In una galleria che anticipa quella fotografica al fondo del libro - tra scatti, istantanee, copertine di dischi di Francoise Hardy, tram e filobus - incontriamo il Maciste di Porta Palazzo, il mitico panettiere Nino di via Barbaroux, la Cicolatera Ida del Bicerin e altri. Un atto d’amore per la città come dice Infuso che, per una volta, ha lasciato a riposo il suo commissario Vega, protagonista dei tre romanzi precedenti: «La Torino di quei giorni, con i negozi e i relativi proprietari, l’immigrazione, le proteste operaie e la vecchia malavita del centro città. Con tutti i conseguenti contrasti di una società che, dopo la guerra, si era proiettata verso la rinascita economica e demografica. Un mondo e una cultura che non mancavano, pur nelle differenze, di una certa solidarietà e della coscienza di una vita, anzi di un destino uguale per tanti».
Non è una autobiografia, ci tiene a precisare, ma quel ragazzino che calcia in rete il rigore decisivo, sotto gli occhi di Silvia, o che si spacca una gamba è quanto in fondo tutti siamo stati, per le strade di un quartiere o per le campagne di un paese, ciascuno con in mente un sogno e una paura, nel cuore una immagine e una colonna sonora: «La musica è una sorta di protagonista e fa quasi da contrappunto alla trama, all’azione e agli stati emotivi e intenzionali del commissario. In “Una storia di quartiere” le canzoni servono pure a connotare un’epoca e assumono un valore fortemente evocativo». C’è un filo di nostalgia? «“Quando c’è il passato in ballo, tutti diventiamo romanzieri”. È un aforisma di Stephen King che, in buona sostanza, condivido. Ma non dimentico che l’arte ha anche una funzione sociale. Devi restituire qualcosa di significativo al lettore. Qualcosa che lo arricchisca o che lo faccia sentire più in sintonia con l’esistenza».
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