l'editoriale
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30 Giugno 2022 - 08:34
Quell’uomo che si presenta nel negozio e chiede, con aria inquietante, del pollo fritto (ripetutamente), beh ti aspetteresti che tirasse fuori un fucile e iniziasse a fare una strage, o quantomeno si producesse in un dialogo alla Liam Nesson in “Ted 2”...
C’è una paura sospesa, in tutto questo, c’è un disagio che viene reso con la prosa secca eppure lirica di un Carver - sempre modello di riferimento per chi voglia fare racconti - e c’è, nelle altre storie, il disagio, l’alienazione, c’è il dolore. Come quel giovane che, persa la fidanzata suicida, indirizza odio nei confronti di un altro giovane che la perdita del fratello - sempre per suicida - ha reso «un esperto», tanto da dire «vorrei che tuo fratello ritornasse da quel fiume solo per questo» ossia per smentirti, svergognarti, per questa freddezza statistica, che poi però è l’accettazione. Tutto si accetta, alla fin fine.
E ancora. Qualcuno ricorda la canzone degli Steely Dan “Hey nineteen”? L’uomo che dice a una diciannovenne «non possiamo ballare»? Qui, l’uomo più grande della narratrice dice «non possiamo parlare, come possiamo parlare?», non c’è nulla in comune, ma si può fare sesso, sotto le luci della provincia americana, davanti ai diner, nelle strade buie. Ed è dura essere «una nineteen quando sei una thirteen (tredicenne, ndr)».
“Pollo fritto e disperazione” (Digressioni editore, 13 euro, traduzione di Rachele Salvini) è una vera antologia americana, dal sapore dolceamaro e dalle prose - sì, prose, perché tante sono le voci - spietate. La traduttrice e curatrice Rachele Salvini l’ha proposta a questa casa editrice indipendente di Udine partendo dalla sua esperienza di studio all’estero, in particolare per quanto riguarda la scrittura creativa: lei stessa racconta la differenza tra l’essere parte attiva in un campus universitario anziché rimanere in Italia ad ascoltare e memorizzare nozioni da docenti che, poi, all’esame si aspettano nient’altro che si sciorini quanto detto: no way.
Rachele Salvini, che ormai si definisce «scrittrice bilingue», ha raccolto gli scritti di suoi docenti e di compagni dei corsi di scrittura creativa, molti dei quali pubblicati su rinomate riviste americane, per una fotografia dell’America di oggi e di conseguenza della scrittura, della creazione che può emergere anche in quella che potrebbe apparire la cosa più lontana dal sogno della grande editoria: niente luci di New York né anticipi milionari per bestseller ma l’onesto artigianato nel campus di Stillwater, cittadina dell’Oklahoma ancora rurale, quelle cose che in un film - a questo proposito, ce n’è proprio uno con questo titolo - renderesti con pick up, possibilmente con fucile dietro il sedile, bottiglie di birra e pollo fritto, appunto. Ma sarebbe come fermarsi alla copertina di un libro.
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