Il 26 agosto 2010 ad Avetrana, in provincia di Taranto la quindicenne Sarah Scazzi era attesa dalla cugina Sabrina e da un’amica: insieme nel primo pomeriggio avrebbero dovuto andare al mare. Ma Sarah all’appuntamento non si è mai presentata. La ricerca della ragazzina prende le mosse dalla sua vita privata. Il fatto che abbia più di un profilo social, di cui la madre era all’oscuro, fa supporre che abbia incontrato qualcuno e che si sia allontanata volontariamente dal paese. Non era d’altronde un segreto che Sarah sognasse una vita lontano da lì, magari a Milano dove vivevano il fratello maggiore e il padre. I sospetti si spostano, a mano a mano che le indagini proseguono, sui famigliari e sulla cerchia di conoscenti e amici di Sarah. Quasi tutti sono più anziani di lei, anche di dieci o dodici anni. Finché l’attenzione degli investigatori si focalizza sulla famiglia Misseri. Le vite dello zio Michele, che fa ritrovare alcuni oggetti appartenuti alla nipote, ma anche quelle di Sabrina, la cugina che l’attendava per andare al mare il giorno della scomparsa, e di sua madre, Cosima Serrano (sorella della mamma di Sarah), sono passate al microscopio. E infine, il 6 ottobre 2010, al termine di un lungo interrogatorio, Michele Misseri indica il pozzo in cui ha occultato il cadavere di Sarah Scazzi. I referti autoptici parlano di morte per strangolamento: qualcuno ha serrato al collo della ragazza una cintura o qualcosa di affine. Misseri si addossa la responsabilità del delitto dicendo che è stato la conseguenza di un tentativo di stupro. Ma gli inquirenti vanno oltre. E arrestano anche sua moglie e sua figlia con l’accusa di omicidio volontario. Misseri, alla fine, sarà condannato per occultamento di cadavere, ma non per omicidio. Mentre a Sabrina Misseri e Cosima Serrano viene comminato l’ergastolo. Il movente sarebbe da ricercarsi nella gelosia di Sabrina nei confronti della cugina, più giovane e più bella, e per questo oggetto delle attenzione di Ivano Russo, di cui Sabrina era perdutamente innamorata.
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