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Il fidanzato egiziano condannato a morte da un’intera famiglia

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Dopo l’arresto dei fratelli Claudio e Massimo Rondinelli, a distanza di due settimane, i carabinieri del Comando provinciale di Pavia hanno catturato anche i loro genitori, Antonio e Carmela. Tutti quanti con responsabilità, secondo l’accusa, dell’omicidio di Mohamed Ibrahim Mansour, 44enne di origini egiziane, ex fidanzato di Daniela, una delle due sorelle Rondinelli (l’altra è Elisa, il cui compagno Luigi D’Alessandro era già stato trasferito in carcere). L’uccisione di Mansour è dell’11 gennaio; del successivo 14 gennaio la scoperta del cadavere da parte di un cacciatore nelle campagne tra Vigevano e Gambolò, sempre in provincia di Pavia. Il corpo era quasi liquefatto all’interno dell’auto dello stesso uomo, incendiata dopo il delitto. Un delitto avvenuto a colpi di pistola e fucile all’interno del non lontano capannone dove Mansour viveva dopo esser stato cacciato di casa. Daniela, 21 anni, aveva partorito da adolescente. Suo papà e sua mamma avevano accettato che Mohamed venisse a stare con la ragazza e la neonata in un appartamento di loro proprietà. Ma non era durata molto. Anzi, la quotidianità dei litigi aveva spinto i Servizi sociali a segnalare le problematiche al Tribunale dei minori, che aveva deciso di sottrarre la bimba ai genitori per trasferirla in comunità. Se Silvia aveva reagito andandosene a stare da un nuovo fidanzato, Mansour, mal consigliato da un legale con l’unico obiettivo forse di farsi pagare, aveva iniziato a convincersi che avrebbe potuto riottenere la figlia. Uno scenario illusorio, e invece lui ripeteva che in aggiunta sarebbe tornato in Egitto proprio con la piccola. Ma gli serviva prima una solida base, cioè una residenza e un lavoro in Italia per convincere il Tribunale dei minori. La residenza non poteva certo essere quel capannone (sempre di proprietà dei Rondinelli) dove abitava alla stregua di un barbone, incaricato dagli ex «suoceri» di badare alla piantagione di ciliegi intorno alla struttura, s’ignora con quali accordi sulla spartizione dei guadagni. Mansour, che aveva animo collerico alla pari dei Rondinelli, pretendeva che il capofamiglia Antonio gli rendesse del denaro che a suo dire gli spettava, e che era legato alla passata occupazione del 44enne, impiegato nella ditta ortofrutticola del medesimo Antonio. Che i due fratelli Massimo e Claudio, 35 e 40 anni, si siano presentati insieme a D’Alessandro armati appunto di pistola e fucile, lascia risicato margine sull’obiezione che l’omicidio non fosse premeditato. Gli avevano sparato addosso più e più volte, forse anche quand’era già morto. I tre avevano trasferito il cadavere sulla macchina di Mansour, avevano guidato fino al punto prestabilito per il rogo, avevano appiccato l’incendio ed erano scappati. Convinti che non li avrebbero mai trovati.
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