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La Barriera che cambia: dalle palazzine liberty ai laboratori creativi

BarrieraLiberty

La piazzetta di largo Giulio Cesare è il punto di comunione di due dei più importanti corsi del quartiere Barriera di Milano. Uno slargo noto per i problemi di bivacco, che tuttavia l’avvento delle telecamere ha parzialmente restituito alle famiglie. Da qui prova a prendere forma la nuova multietnica Barriera: un borgo che da anni si trascina i soliti problemi e che, tuttavia, è da considerarsi unica nel suo genere. Da quartiere industriale a quartiere socialmente attivo, il più vasto nonché il più popoloso di Torino. Unico per la varietà di intrecci linguistici, per le riqualificazioni in atto da anni sul territorio e per i progetti messi in campo da Città e privati.

Le origini

Circa 100-150 anni fa il quartiere appariva appariva come un gruppo di cascine e botteghe sparse nelle campagne a nord della città. La Barriera prende forma nel 1853, esattamente dove adesso c’è piazza Crispi e prende il nome proprio da uno dei due varchi cinta daziaria, detti, appunto, barriere. La cinta daziaria controllava il traffico delle merci con tanto di mura e posti di guardia. Lì iniziava la Reale Strada d’Italia, oggi corso Vercelli, diretta a Milano. Ai tempi la barriera più famosa era in piazza Crispi, poi fu spostata in piazza Rebaudengo, dove ancora oggi è ben visibile l’edificio del dazio. Poco alla volta arrivo il rilancio industriale e l’insediamento delle prime fabbriche. In alcuni casi le botteghe crescono e si trasformano in veri e propri grandi stabilimenti. Il primo esempio fu la fabbrica di Armamenti, lo stabilimento Ansaldi, per armi leggere, nato nel 1884. Poi, nel 1923, venne convertito in Fiat Grandi Motori. Potremmo citarne molte altre: l’Urmet, la Ceat o il biscottificio Wamar di corso Vigevano. Realtà che oggi non esistono più, se non nel linguaggio dei cittadini che spesso a piazze, giardini o incroci associano il nome di un passato industriale quasi scomparso.

Un centro in periferia

Quel che una volta era “insicuro” è oggi un polo per famiglie, un nuovo centro traslocato in periferia. Un esempio sono i locali e i laboratori creativi dei Docks Dora e tutto quello che una visita, da queste parti, può offrire: il Museo Ettore Fico, racchiuso in un elegante spazio moderno, i tanti atelier di artigiani e laboratori creativi che ancora oggi riparano bici, il Bunker, Spazio 211 con la sua musica e i suoi gruppi giovanili, una passeggiata alla scoperta dei 13 murales di Millo in Barriera (quei bambini giganti in mostra sui muri) con l’arte sempre più veicolo di riqualificazione. Dal teatro Monterosa di via Brandizzo alla cascina Marchesa. E questo anche grazie a importanti realtà territoriali come i Bagni Pubblici di via Agliè e i Laboratori di via Baltea. Il lavoro prodotto negli ultimi dieci anni lo si può tradurre con due parole: Urban Barriera. E trentacinque milioni di euro finanziati da Comune, Regione e Comunità Europea. Intorno c’è tutto un mondo che funziona: come i progetti messi in campo con AxTo per il restyling di giardini, spazi residuali e aree gioco. O il rilancio del parco Peccei, oggi una palestra a cielo aperto con ampi spazi green. O ancora l’ex Incet, complesso industriale che ha lasciato il posto a un asilo e a una stazione dei carabinieri. E in Barriera ci sono anche tracce di stile liberty, come le casette di Luigi Grassi. Le prime nate in via Lombardore e in via di Circonvallazione (poi diventato corso Novara). Alloggi da affittare agli operai che lavoravano nelle fabbriche di Barriera di Milano. E poi ecco le palazzine per il ceto medio edificate tra il 1910 e il 1920 nella Borgata Monterosa, in via Candia, via Santhià e via Scarlatti.

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