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Tari da 500mila euro all’hotel e il “Ninfa” chiude i battenti

hotel ninfa tari
Quando si arriva all’hotel Ninfa, in viale Gandhi ad Avigliana, quello che colpisce è un enorme lenzuolo bianco con sopra scritta la seguente frase: «Chiuso per Tari». Già, perché dallo scorso 22 gennaio la struttura alberghiera, molto rinomata in tutta la zona, ha deciso di chiudere i battenti. E sarà così finché la situazione con il Comune non si chiarirà. Una vicissitudine di carattere economico, per la precisione legata alla Tari, la tassa sui rifiutiIl motivo è presto detto: un accertamento sulla gabella comunale pari a quasi 500mila euro, per il periodo che va dal 2015 al 2019. «Avevo già chiuso il ristorante a dicembre, perché il gioco non valeva la candela. Adesso, con questa mazzata, ho deciso di chiudere tutto», spiega Enzo Savant, titolare anche di un albergo a Torino, il “Villa Savoia” di corso Moncalieri. «L’accertamento è arrivato pochi giorni prima di Natale. Quasi mezzo milione per via di una tassazione molto alta per le strutture alberghiere. Una decisione presa dall’amministrazione comunale e che non condivido, visto che decisamente impari rispetto a quelle in vigore a Torino». Il costo medio al metro quadro, come dettaglia Savant, «tra i Comuni che aderiscono all’Acsel (la società che si occupa dei rifiuti in zona) è 2,6 euro per hotel con ristorante e 1,89 per quelli senza ristorante. Qui ad Avigliana, siamo rispettivamente, a 6,65 e 4 euro a metro quadrato. Capite che sono cifre fuori mercato? Avevamo anche trovato un accordo, nel 2012, per 9mila euro l’anno, che era lo stesso una cifra spropositata. Ora, però, l’Amministrazione mi contesta un aumento pari a cinque volte quel prezzo. L’albergo è lo stesso e io però faccio meno rifiuti causa pandemia». Se Savant dovesse aderire all’accertamento, andrebbe a pagare quasi 277mila euro. Se le contesta, invece, la cifra salirebbe ai 471mila euro. Ma l’albergatore è chiaro: «Il problema è che questa cifra non ce l’ho e non so come pagare quelle degli anni successivi. Ora ho dovuto lasciare a casa le cinque persone impiegate nell’hotel perché non potevo più permettermi quegli stipendi. Anche perché non posso neanche più contare su una fonte d’entrata come quella del pernottamento delle Forze dell’Ordine impegnate sul cantiere Tav. Ho paura che se lascio la struttura, mi venga occupata. Vivo qui, in una stanza, con una stufetta elettrica per scaldarmi». Dal Comune dicono come il caso del “Ninfa” sia un unicum e che l’accertamento è riferito agli anni tra il 2015 e il 2019.
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