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22 Marzo 2022 - 08:42
“Amarissima e nerissima”, così Gabriele Lavia definisce la commedia di Pirandello in cui si descrive una società “malata di vergogna”. Una commedia che è in realtà “una tragedia della mente”, una commedia abitata da pupi: «Pupi siamo, pupo io , pupo lei, pupi tutti». La commedia è “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello che Gabriele Lavia porterà questa sera al Teatro Carignano di Torino in veste di regista e di interprete. Con lui sul palco Federica Di Martino, Francesco Bonomo, Matilde Piana, Maribella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida, Beatrice Ceccherini (repliche fino al 3 aprile prossimo).
Lavia torna dunque a confrontarsi con il grande drammaturgo siciliano, alla cui prosa l’aveva avvicinato la nonna. «Da giovane mia nonna mi regalò una copia del volume sul suo teatro edita da Mondadori - spiega Lavia -, mi sono ritrovato tra le mani quel libro in cui c’era “Il berretto a sonagli”. Io credo nei segni e così ho iniziato a lavorarci sopra». Lo ha fatto rimanendo «infedele nella messa in scena», come dice lui stesso, ma fedele al testo, anzi ai due testi. Sì, perché dell’opera esistono due versioni, quella del 1916, scritta in lingua siciliana per l’attore catanese Angelo Musco, intitolata “A birritta cu’ i ciancianeddi”, la più dura, la più comica, la “più viva e lancinante”, e quella in italiano del 1918 in cui gli effetti comici della prima versione erano andati in buona parte perduti. E Lavia li mette in scena entrambi, mescolando un po’ di siciliano e un po’ d’ italiano. Per sé riserva la parte di Ciampa, lo scrivano che, nella Sicilia del secondo dopoguerra, accetta il tradimento della giovane moglie Nina con il suo datore di lavoro, il cavalier Fiorica, per salvare il suo “pupo”, ovvero la sua onorabilità, per salvare la faccia. La scena si apre nel salotto di casa Fiorica, «un salottino sbilenco rosso amaranto - lo descrive Lavia - e alcune sedie messe a caso a dimostrare il disordine interiore, specchio di quella società “per bene” che fa i conti con una società sempre pronta al giudizio, fatta “per gli altri” e di fronte agli altri». Qui la signora Beatrice seduta sul divano piange, fuori di sé a causa del tradimento del marito. La donna vorrebbe denunciare il coniuge. Ma una denuncia metterebbe nei guai un po’ di persone, prima di tutti lo stesso Ciampa che, pur amando la moglie, sarebbe costretto ad ucciderla per salvare la faccia e l’onore. Lo scandalo, però, è ormai scoppiato e per porvi rimedio l’unica soluzione sembra essere la pazzia: per il bene di tutti Beatrice sarà indotta a recitare il ruolo della pazza. «La verità non può trovare casa nella “società umana” - è ancora il regista -. Solo un pazzo può dirla. Ma tanto, si sa, è pazzo».
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