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“Eichmann. Dove inizia la notte”, la banalità del male è al Gobetti

eichmann dove inizia la notte
Adolf Eichmann e Hannah Arendt, l’architetto della soluzione finale, quella che portò al massacro di sei milioni di ebrei, e la filosofa ebrea, che del processo ad Eichmann fece un resoconto per il New Yorker, diventato poi un libro, “La banalità del male”. Sul palco del Teatro Gobetti i due si confrontano. Lei, con indosso la giacca con la stella di David, lui con la divisa delle SS. La scena è scarna, cupa. Hannah chiede ad Adolf dove e perché comincia il male: «Ci sarà un momento preciso - dice - quando tutto ha inizio ci sarà quell'attimo, quell’istante in cui si passa dal nulla al qualcosa». Ma, come succede per la notte, «non esiste un punto preciso. Quando fa buio il cielo cambia colore tutto quanto, i tuoi occhi non possono fermarlo, non potranno mai». Il male non si ferma. Paolo Pierobon e Ottavia Piccolo danno voce e corpo a Adolf e Hannah nello spettacolo di Stefano Massini “Eichmann. Dove inizia la notte”, che debutta martedì prossimo (ore 19,30) sul palco di via Rossini per la regia di Mauro Avogadro (in replica fino all’8 maggio). Un atto unico, un’ora e venti di dialogo serrato, anche se è difficile parlare di dialogo quando avviene tra due persone, due modi di pensare così lontani. Un dialogo che Stefano Massini ha realizzato a partire dai verbali degli interrogatori svoltisi a Gerusalemme, dove Eichmann fu processato dopo l’arresto, avvenuto nel 1960 in Argentina, e che prende spunto dagli atti del processo, dalla storiografia tedesca ed ebraica, oltre che dai saggi di Hannah Arendt stessa e dal suo famoso libro. Una storia che parla del passato ma che evoca tristemente il presente, quel presente da cui è stato in qualche modo “toccato”. La pièce, infatti, nata durante il lockdown, ha debuttato a Milano il 24 febbraio scorso, il giorno in cui l’esercito russo di Putin è entrato a Kiev. E inizia proprio con il frastuono delle bombe, con il rumore degli spari, così che la mente corre subito alle immagini dell’Ucraina che quotidianamente scorrono sui nostri schermi televisivi. Ma ciò che colpisce soprattutto è che Eichmann potrebbe essere uno di noi. Non c’è nessuna grandezza nel suo agire, non è il mostro che si potrebbe pensare, perché il male è gretto, meschino, banale. Adolf è un arrivista, un opportunista, che stupisce per la sua mediocrità. Non è stata l’ideologia nazista a muoverlo, ma l’ambizione. «La cosa tremenda del personaggio per come lo ha scritto Massini e per come lo fa Pierobon - dice Ottavia Piccolo - è che molti ci domandiamo: ma forse io avrei fatto lo stesso?, forse anch’io ho le stesse pulsioni come ad esempio la carriera, il successo di fronte alle quali mi copro orecchie e occhi e tiro dritto?»
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