TILDE LA ROSSA
Tilde la Rossa era il nome “d’arte” di Angela Eugenia Serra, una prostituta di 36 anni uccisa al Parco del Valentino da un sadico serial killer il 25 marzo 1915. Era figlia di un concessionario di vetture; dai racconti dell’epoca pare fosse bella ma ingenua, vanitosa, di pessimo gusto. Era rimasta incinta di un altolocato cavallerizzo che non la volle sposare. La famiglia la ripudiò: da due fratelli benestanti ebbe una “dote” di quattromila lire, utile per rifarsi una vita a Venaria, dove aprì un caffè che però fallì nel giro di poco. Rimasta povera in canna, senza famiglia né avvenire, per campare non le rimase che vendere l’unico bene che ancora possedeva: il suo corpo. Il 26 marzo i giornali riportarono la notizia di un misterioso delitto avvenuto al Valentino: «Il cadavere di una donna trovato al Valentino. Strangolata e denudata da un brutale barabba», così titolava La Stampa, usando un termine all’epoca diffuso per indicare i criminali (barabba, appunto).
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Il caso si intorbidì: in quei tempi a Torino erano scomparse altre donne, tale Norma, ammazzata in via Stampatori e orrendamente seviziata, e Letizia, uccisa in piazza Palazzo di Città. C’era un serial killer in città che prendeva di mira le donne? Alla domanda inizialmente si cercò di dare risposta indagando attorno a tal Gioachino Berruto, conducente di bovini che abitava in corso Francia 312. Un uomo brutale, già fermato più volte per violenza, anche verso le bestie. Si arrivò a lui perché la Tilde aveva un biglietto, nella sua borsa, con il suo indirizzo. Berruto, però, brutale e grottesco, sembrava del tutto estraneo: aveva l’alibi della famiglia presso la quale alloggiava e, all’ora del delitto, era a casa a dormire. E quelle macchie di sangue sui vestiti? Erano sangue di animale, come rivelarono le analisi. Berruto, in breve, sarà rilasciato e il caso di Tilde la Rossa finirà nell’oblio, archiviato come irrisolto: la guerra mondiale provvederà a farlo dimenticare dalla memoria dei torinesi.
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