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14 Novembre 2025 - 15:30
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Un nuovo studio condotto al Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) dell’Università di Torino e pubblicato su Scientific Reports ha individuato il meccanismo cellulare che spiega la riduzione dell’attività dei neuroni nella corteccia prefrontale mediale, una delle aree più colpite nei disturbi depressivi.
La depressione colpisce circa il 5% della popolazione adulta, secondo l’OMS, e la difficoltà nel comprenderne le basi biologiche rende spesso poco efficaci i trattamenti disponibili. La ricerca torinese propone una nuova prospettiva, spostando il focus dai tradizionali deficit serotoninergici ai cambiamenti dell’attività neuronale nella corteccia prefrontale.
Analizzando cavie sottoposte a stress cronico, i ricercatori hanno osservato che solo gli esemplari “suscettibili” sviluppavano comportamenti simili alla depressione, accompagnati da un calo dell’eccitabilità dei neuroni piramidali dello strato 2/3. «Abbiamo scoperto che nelle cavie suscettibili allo stress cronico, i neuroni della corteccia prefrontale perdono parte della loro capacità di rispondere in modo sostenuto agli stimoli eccitatori», spiega Anita Maria Rominto, prima autrice della ricerca. «Questo deficit di eccitabilità potrebbe rappresentare una base cellulare della ridotta attività della corteccia prefrontale osservata nei pazienti con depressione».
Le analisi elettrofisiologiche hanno mostrato che la minore reattività neuronale è legata a un’eccessiva attivazione dei canali del potassio (K⁺), che regolano il ritmo di scarica delle cellule nervose. L’aumento della soglia di attivazione e la maggiore iperpolarizzazione rendono più difficile generare e sostenere i potenziali d’azione necessari alla normale comunicazione neuronale. «Questi risultati suggeriscono che un’iperattività di specifici canali del potassio possa contribuire alla disfunzione della corteccia prefrontale nei disturbi depressivi», aggiungono Filippo Tempia ed Eriola Hoxha, ultimi autori dello studio. «Comprendere questo meccanismo apre nuove prospettive per lo sviluppo di terapie mirate a normalizzare l’attività neuronale».
Lo studio utilizza il modello della sconfitta sociale cronica, che riproduce condizioni di stress protratto. Solo gli animali vulnerabili mostrano le alterazioni comportamentali e fisiologiche descritte, mentre quelli resilienti non presentano modifiche, confermando il legame diretto tra sensibilità allo stress e ridotta attività neurale. I risultati offrono anche una base biologica all’efficacia della stimolazione magnetica transcranica, già impiegata in ambito clinico per trattare la depressione. I canali del potassio emergono ora come nuovi potenziali bersagli farmacologici, aprendo la strada a terapie più mirate e innovative.
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