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01 Dicembre 2025 - 05:45
Aids, i contagi da Hiv tornano a salire. La malattia spaventa di nuovo i giovani
Hiv e Aids non uccidono più ma continuano a spaventare, tanto che solo lo scorso anno 3 piemontesi su 100 con più di 14 anni di età hanno fatto il test per sapere se erano stati contagiati. E, purtroppo, in 160 casi la risposta è stata positiva: un numero che torna ad aumentare dopo alcuni anni di flessione.
I dati sono contenuti nel rapporto “Le nuove diagnosi di Hiv in Piemonte 2025” pubblicato dal Seremi, il Servizio di riferimento regionale di epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive. I tempi degli anni ‘80 e ‘90 sono ormai lontani: l’Aids non è più il grande spauracchio che aveva cambiato le abitudini sessuali di una intera generazione, ucciso milioni di persone nel mondo tra cui molti rappresentanti dello star system (Freddie Mercury, Rock Hudson, Keith Haring solo per citarne alcuni), tra campagne informative martellanti (ricordate le figure avvolte in un alone viola, con lo slogan “Se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide”?) che “sdoganarono” anche l’educazione sessuale in aula (il celebre opuscolo di Lupo Alberto distribuito in tutte le scuole).

Ora di Aids si parla poco, forse perché non uccide (quasi) più. Attenzione però: una cura non è mai stata trovata. Chi viene contagiato dall’Hiv è “condannato” a terapie perenni con i farmaci antiretrovirali che permettono di controllare l'infezione nel lungo periodo, trasformandola in malattia cronica. In parole povere, per non morire di Aids occorre assumere medicine ogni giorno per il resto della propria vita. Ecco perché sarebbe meglio continuare a tenere alta l’attenzione, come si sottolinea nello stesso rapporto del Seremi in cui, tra le altre cose, si chiedono campagne di sensibilizzazione e la promozione del test tra un maggior numero di persone. A maggior ragione, l’attenzione dovrebbe restare alta in Piemonte dove i numeri sono in rialzo. Nel 2024, in regione sono state segnalate 160 nuove diagnosi di infezione da Hiv, corrispondenti a un tasso di 3,8 casi ogni 100.000 abitanti. Dopo alcuni anni di flessione, si osserva un lieve aumento rispetto al 2023 quando i casi segnalati erano stati 141. Con 391 casi segnalati nel periodo 2020-2024, la provincia di Torino rappresenta la quota maggiore (53%) del totale regionale, una percentuale sostanzialmente stabile rispetto a quella osservata nel quinquennio 2015-2019 (56%) quando però i casi erano stati 664. La disparità di genere resta marcata: l’incidenza tra gli uomini è pari a 5,6 casi ogni 100.000 abitanti, praticamente il triplo rispetto a quella femminile (1,9 per 100.000).
Preoccupa la diffusione della malattia tra i giovani, segno che il generale calo di attenzione verso l’Hiv si fa sentire di più tra chi non ha vissuto il periodo degli anni ‘80-‘90. Nel 2024, circa il 30% delle nuove diagnosi di infezione da Hiv ha riguardato persone con meno di 35 anni, una proporzione leggermente più bassa rispetto al 2023, quando rappresentavano il 38% del totale. Nell’ultimo quinquennio (2020-2024) il tasso di incidenza medio annuo più elevato si registra nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni, con 9,7 casi ogni 100mila abitanti mentre tra gli over 55 il valore scende a 1,5.
L’eroina, pur se ancora diffusa, non va più per la maggiore tra i tossicodipendenti, sostituita da cocaina, crack e nuove droghe sintetiche. Difficile dire dove finisca la buona notizia e inizi quella cattiva, ma almeno un aspetto positivo c’è: con meno eroina in giro, è crollata la trasmissione del virus dovuta al passaggio delle siringhe infette da un tossicodipendente all’altro. Ormai da circa due decenni, la trasmissione sessuale rappresenta la principale modalità di diffusione del virus, e oggi riguarda quasi 9 casi su 10. I comportamenti sessuali associati al rischio di trasmissione dell’Hiv mostrano differenze significative non solo in base al genere, ma anche in relazione al luogo di origine. Tra gli stranieri, infatti, il 65% degli infettati nel periodo 2015-2024 è eterosessuale, mentre il 29% è omosessuale. Percentuali che in pratica si invertono tra gli italiani: 58% omosessuali e 32% eterosessuali. E, a proposito della provenienza dei nuovi malati, nel 2024 quasi la metà delle nuove infezioni ha riguardato persone nate all’estero (46%).
Infine, i numeri che evidenziano l’importanza della prevenzione. Oltre la metà dei nuovi casi sono arrivati alla diagnosi in uno stadio avanzato della malattia. Inutile sottolineare che il rischio in questi casi è doppio: da un lato, quello personale visto che prima si cominciano le cure e meglio è. Dall’altro, quello di infettare involontariamente i propri partner avendo con loro rapporti sessuali non protetti. E, a proposito di prevenzione, è da ricordare che oltre all’uso del preservativo, esistono da qualche tempo anche altre possibilità. La PEP (Post-exposure Prophylaxis) è un trattamento farmacologico che ha lo scopo di ridurre la probabilità di contagio dopo una possibile esposizione ad Hiv. Consiste nell'assunzione di farmaci antiretrovirali per 28 giorni (4 settimane). Va iniziata entro 48 ore dalla possibile esposizione (ad esempio, dopo un rapporto sessuale a rischio) e per ottenerla occorre la prescrizione di un medico specialista presso il pronto soccorso di un ospedale o in un centro di infettivologia. La PrEP (Profilassi Pre-Esposizione) invece consiste nell’assunzione, da parte di una persona che ha comportamenti a rischio, di un farmaco per la prevenzione dell’infezione da Hiv. Può essere usata da chi non ha l’Hiv e desidera proteggersi dall’infezione ma, per ragioni personali, non intende o non può utilizzare altre strategie di prevenzione. Va assunta prima di un comportamento a rischio con modalità che devono essere valutate con il supporto di un medico infettivologo. Inutile dire che l’uso del preservativo resta sempre il metodo da preferire, anche perché ha il vantaggio di difendere anche da altre infezioni e non solo da quella da Hiv.
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