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Marco, abbandonato a 5 mesi in ospedale: «Cerco i miei genitori»

Il 31 luglio 1998 era stato trovato all’ospedale di Rivoli. Ora, 25 anni dopo, ecco il suo appello

Marco, abbandonato a 5 mesi in ospedale: «Cerco i miei genitori»

Quando l’hanno trovato, abbandonato per terra in ospedale, non aveva un nome e piangeva, piangeva a dirotto. Ora sono passati 25 anni, ha un nome e un cognome, Marco Parolin, e nonostante una vita sfortunata, non piange più. Al contrario, ha deciso di mettersi alla ricerca di chi lo aveva lasciato in ospedale, non per rivalsa, non per urlare la propria rabbia, ma solo e soltanto «per chiudere il cerchio della mia vita. Voglio capire perché lo hanno fatto, comprendere le loro motivazioni. A me piace pensare che sia stato un gesto d’amore, e sarei contento di averne la conferma».

Marco Parolin ha lanciato in questi giorni il proprio appello sui social. Un vecchio ritaglio di giornale che parla di quando, il 31 luglio 1998, era stato trovato all’ospedale di Rivoli e la richiesta: «Cerco chiunque abbia lavorato in quell’ospedale e possa ricordarsi di questo avvenimento». L’abbandono di Marco fu un caso “anomalo”: non si trattava di un bambino appena nato. Come riportano le cronache dell’epoca, poteva avere tra i 5 e i 6 mesi. Fu trovato da una paziente nel reparto di Ginecologia: era in ottime condizioni di salute e ben vestito, con tanto di scarpette firmate e tutina un po’ grande, comprata per la crescita come fanno di solito i genitori previdenti. La sua vera identità e come sia finito lì, sono rimasti dei misteri: «La polizia e la procura avevano indagato ma non erano giunte a nulla, o almeno così credo perché a me nessuno ha mai detto niente. E in tutti questi anni mai nessuno ha cercato di prendere contatto con me, non ho mai avuto alcun segnale dai miei genitori naturali. È rimasta sconosciuta anche la mia data di nascita: mi è stata “assegnata” quella del 28 febbraio, ma quella vera non la so».

Il suo caso ebbe vasta eco e già due settimane dopo il ritrovamento era stato affidato a Massimo e Laura Parolin, che lo hanno poi adottato e cresciuto con amore, senza mai nascondergli la verità. Il destino però, ancora una volta, si è rivelato crudele e si è presentato sotto forma di una malattia che gli ha portato via entrambi, nel giro di appena due anni, lasciandolo solo a 13 anni. Orfano, ancora una volta. «Da quel momento mi hanno cresciuto i miei nonni materni e una zia - racconta -. A loro devo tutto, una famiglia l’ho comunque avuta. E adesso approvano e mi supportano nella mia ricerca».

L’appello di Marco ha subito avuto grande risalto su Facebook: di condivisione in condivisione, è rimbalzato da un gruppo all’altro, raccogliendo tanta solidarietà. Lui sa che la sua ricerca sarà comunque difficile: «Dei miei genitori naturali non si sa nulla, neanche se siano italiani. Quindi ho pensato di cominciare da chi quel giorno era in ospedale: medici, infermieri, pazienti. Magari qualcuno ricorda un particolare che possa aiutarmi». Poi c’è ovviamente un’altra strada: «Mi affiderò a un legale per capire a cosa avevano portato le indagini della polizia. Vorrei vedere il mio fascicolo. E anche le procedure per la mia adozione».

Oggi Marco è diplomato, lavora in un negozio di informatica e convive. «Tanti mi chiedono se avrò un figlio e sì, forse un giorno lo vorrò avere per tradurre, con lui, in positivo le cose negative che ho vissuto nella mia vita. Ho tanto amore da dare e avere un figlio potrebbe essere la scelta giusta».

La domanda finale è d’obbligo: se la ricerca dovesse avere successo e se un giorno si trovasse di fronte sua madre o suo padre, cosa vorrebbe dire loro? «Vorrei sapere qualcosa in più della mia storia, chiudere il cerchio della mia vita. Vorrei chiedere loro perché hanno fatto quella scelta, cosa li ha spinti a lasciarmi in ospedale, comprendere le loro motivazioni. A me piace pensare che il loro sia stato un gesto di amore, nei primi mesi della mia vita ero stato ben curato quindi non credo che non mi volessero. E poi sì, se fosse possibile, magari sarebbe bello riallacciare i rapporti con loro».

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