l'editoriale
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30 Ottobre 2022 - 07:06
Dentro quello che fu un bunker dell’antiaerea nazista, in un bricco tra Valsalice e San Vito conosciuto come Torre Bert, il 3 novembre 1957 due giovani stanno armeggiando con una potente ricetrasmittente. Hanno 24 e 18 anni, si chiamano Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia e nelle cuffie stanno ascoltando un suono ritmato, fioco, distante. È il battito di un cuore affaticato, al limite della tachicardia. Quello è (almeno ufficialmente) il primo suono prodotto da un essere vivente nello spazio. È il cuore della cagnetta Laika quello che i due fratelli radioamatori stanno captando. Una randagia di tre anni, mezza Husky e mezza Terrier, sacrificata a bordo dello Sputnik 2 nella corsa allo spazio che vedeva sfidarsi Urss e Usa.
Cinque, sette ore al massimo. Poi solo silenzio. Tanto è sopravvissuta Laika a bordo di una capsula pesante mezza tonnellata con un abitacolo grande a sufficienza perché potesse non rimanere sempre accucciata, lanciata alle 2.30 del mattino di quello stesso 3 novembre 1957 dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan. Probabilmente la bestiola non è sopravvissuta agli sbalzi di calore all’interno della navicella. O forse a esserle stato fatale è stato un malfunzionamento dell’impianto dell’ossigeno. Di certo la sua era una missione senza ritorno. Lo Sputnik 2 non aveva schermi termici che gli consentissero un rientro nell’atmosfera. Ma anche per rendere più sopportabile agli occhi dell’opinione pubblica quella che da molti era vista come una fredda crudeltà, le autorità spaziali russe diranno che Laika ha continuato a trasmettere regolarmente i suoi parametri vitali per quattro giorni. Il satellite, con il suo corpo senza vita a bordo, resterà in orbita per altri cinque mesi, compiendo 2.570 giri intorno alla Terra fino al 14 aprile 1958. Poi brucerà come una meteora, disperdendo nell’immensità del cielo le ceneri di quello che di fu di fatto il primo pioniere dello spazio.
Il volo di Laika ebbe un’eco globale, soprattutto negli Stati Uniti dove ancora era bruciante lo smacco per aver visto i sovietici lanciare il primo satellite della storia, lo Sputnik 1. Quella che il mondo non sapeva era però la storia di questa trovatella che venne ribattezzata con un nome che letteralmente significa “Piccolo abbaiatore”, anche se i suoi addestratori preferivano chiamarla “Kudryavka”, “ricciolina” in russo. Non è chiaro perché la scelta di destinarla a essere il primo dei cosmonauti sia ricaduta su di lei. Forse per la mitezza del suo carattere, dote fondamentale per resistere a un addestramento a tratti brutale: costretta anche per periodi di tre settimane a vivere in gabbie strettissime o a sopportare le violentissime sollecitazioni gravitazionali che il lancio avrebbe comportato. Chissà se la povera Laika ha compreso quale sarebbe stato il suo destino. Di certo resta quel ticchettio rapidissimo e pieno di paura che due torinesi con la passione per lo spazio e le radiotrasmissioni hanno sentito forte e chiaro, chiusi nel loro bunker tra Superga e Moncalieri.
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