Ci vediamo, Serpico

Nel cortiletto davanti alla finestra del mio ufficio la vite vergine si è accesa di un bel rosso grignolino che fa venir voglia di bagna caoda. I merli vengono a beccare le sue bacche blu senza accorgersi che li spio. Quando distolgo lo sguardo, mi punge il cuore su Fb la notizia della morte di Serpico. Così chiamavamo Ciccio Mannarino, il poliziotto in borghese che la Digos aveva “infiltrato” fra gli studenti di Palazzo Nuovo negli anni ’70. Scherzava e beveva con noi al Caffè Ateneo perché sapeva che i goliardi non erano pericolosi, che il vero pericolo erano gli eskimi. A quel tempo frequentavo un barbiere il cui garzone era più bravo del titolare. Io sceglievo lui anche quando il dominus era libero (e si seccava di ciò), ma un bel giorno non lo trovai più. Non seppero (o non vollero) dirmi dove era andato. Chiesi a Serpico se poteva scovarlo solo col nome, Saverio. Un anno dopo, quando ormai mi ero dimenticato della cosa, lui mi telefonò: “Il tuo uomo è in Corso Re Umberto 56”. Ci andai, e da allora non lo persi più, Saverio. Ma persi Ciccio. La vita è un fiume, e ci si perde di vista anche se si nuota vicini. Due anni fa lo ritrovai su Facebook: era in pensione al sud, felice, nel paese natìo. Ci scambiammo saluti, ricordi, notizie, come si fa su Fb. Oggi la brutta sorpresa. Non mi aveva detto di avere il cancro. Ma perché adesso mi sento un po’ più solo, anche se non lo vedevo da 40 anni? La vita scorre, i merli vanno e vengono, le stelle brillano lassù, eppure… Eppure succede così, anche quando muore un personaggio amato, mai conosciuto di persona. È il cigolìo del carro della vita. Vorremmo tutti fermarlo, ma non si può. Basta essere ancora a bordo, a guardare i merli.

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