Nòtu

Caro toro Peppino, o caro Thor (non so bene come chiamarti) ti scrivo per complimentarmi del salto che hai fatto per fuggire dal rifugio animalista di Collegno: doppia barriera di due metri, roba che a un rodeo con un cowboy in groppa ti portavi via il primo premio. Mi sei stato subito simpatico, un po’ perché a un granata come me i tori non possono che essere graditi, un po’ perché sei recidivo nel cercare la libertà.

La prima volta, quando sei scappato dall’allevamento, avevi vagato nelle campagne per quattro mesi, ed è un bel record. Ora però hanno chiuso il Parco Dora a causa tua: attento a non caricare nessuno, se no ti sparano. Mi spiazzava il tuo nome: Peppino. Nome terrone, inadatto a un esemplare di pura razza aquitana come te. Visto che eri in Piemonte, potevano almeno chiamarti Pinin, Pinot, o Nòtu.

Poi ho letto che hai il soprannome di Thor, il corrispondente germanico del dio greco Zeus. Ecco un altro motivo di simpatia: abbiamo lo stesso “nome d’arte”. Comunque, caro il mio cornuto re delle evasioni, una cosa te la voglio dire. Hai fatto bene a scappare la prima volta, perché il tuo destino era finire in bistecche o nella migliore delle ipotesi, se fossi diventato un campione, di servire alla monta.

Non ti eccitare: la monta dei tori di razza oggi è un asettico prelievo di seme ottenuto facendoli montare dei manichini di femmina spalmati di feromoni. Roba che al confronto le nostre bambole di gomma sono un sogno. Ma hai sbagliato a scappare la seconda volta dal rifugio di Collegno: lì gli ospiti non li macellano, anzi, li salvano dal mattatoio. La libertà è bella, ma la vita di più. Dàme da ment, Notu: torna là ‘ndrinta a mangé e bèive gratis. At conven.

collino@cronacaqui.it