Gelati

Ho notato che non solo io, ma anche i miei nipoti tendono a diminuire il tempo trascorso da avvenimenti recenti. Fosse solo per me, la ragione sarebbe la solita: il tempo che scorre sempre più veloce man mano che s’invecchia: ti sembra che una cosa sia capitata l’anno scorso, e invece sono già passati tre anni. Ma i giovani? Poi ho capito la ragione: la pandemia. Quella maledetta parentesi di paura, incertezza, non attività, chiusura in casa, col cessato allarme che non arrivava mai. Sono stati tre anni che ci sembra di non aver vissuto, talmente le giornate di lockdown totale o parziale sembravano uguali. È stata come una parentesi “non registrata” nel nostro calendario mentale. Ecco perché i fatti successi prima ci sembrano più vicini. Ricordate? La fine dell’isolamento era ancora lontana, ma non ce lo dicevano per non scoraggiarci. Promettevano “dopo Natale, dopo Pasqua” ma poi niente. Mi ricordava quando ero gagno al mare da mia nonna, coi fratellini. A volte lei di sera ci portava, a piedi, da Laigueglia ad Alassio a sentire il caffè-concerto di Balzola. Ovviamente da fuori, dietro la siepe, in piedi fra i portoghesi del budello. Noi gagni cercavamo di farci comprare un gelato, ma lei ci rispondeva “dopo, al ritorno”. Poi però, sulla via del rientro, il posto giusto non arrivava mai. “Nonna, il gelato?” –“Non qui, che non è buono. Al prossimo”. E così, di bar in bar, di chiosco in chiosco, arrivavamo all’ultimo baracchino del lungomare, in vista di casa. “È inutile sprecare soldi – diceva allora nonna Nora – ormai siamo arrivati, vi faccio io l’uovo sbattuto con lo zucchero”. E siccome quello ci piaceva, ci rassegnavamo. Così è stato con le mascherine e i rivaccini. collino@cronacaqui.it