Quella piòla in mezzo ai campi

Ieri pausa distensiva con pranzo in osteria campestre, per star lontano da celebrazioni asfissianti e poco amate. I lettori che mi scrivono apprezzandomi come giornalista sincero ed anticonformista, non immaginano neanche quanto io lo sia anche nella vita privata. Una volta, dopo essere capitato in una fiabesca piòla situata in seconda cintura, all’interno di un’antica scuola elementare rurale in disuso, ho addirittura scritto, il giorno dopo, una lettera di complimenti all’ostessa.

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Non credo che tante persone, dopo essere andate in trattoria, scrivano all’oste. Al massimo oggi lo scrivono in rete su Trip Advisor, per sentirsi dei piccoli Raspelli. In ogni caso è bene che l’oste abbia il suo feedback. Mi danno solo fastidio gli osti che ogni dieci minuti si avvicinano al tavolo belando “tutto bene?”. Già con quello si rivelano osti della lippa, perché l’oste barbìs lo capisce da solo e da lontano, se va bene. Gli basta uno sguardo.

E poi al ristorante, anche se il cibo e il servizio son perfetti, manca sempre la componente ‘conto’ per poter dare la valutazione finale. Inutile cissare l’avventore prima. Posso anche essermi trovato bene, ma se poi l’oste mi pela m’arrabbio, e se m’arrabbio ancora oggi che ho le piume bianche, figuratevi da giovane. Se qualcosa nel cibo e nel servizio non va bene, e tu (oste o cameriere) me lo chiedi mentre mangio, o faccio il diplomatico (cioè mento e rispondo “tutto bene!” per star tranquillo), oppure quello che non va te lo dico in faccia e ad alta voce, e allora sono cazzi tuoi, perché mi sente tutta la sala. Quindi è meglio che mi girino alla larga, mentre mangio. Al massimo gli scrivo, se sono stati bravi. Se no mi limito a non tornare più.