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Il fatto

Dai No Tav alla Fornero per l'ultima "lezione" di Gianni Vattimo: «Aveva capito che amore è carità»

Tante personalità, colleghi, allievi e persone semplici ai funerali dell'ultimo grande filosofo del Novecento

Dai No Tav alla Fornero per l'ultima "lezione" di Gianni Vattimo: 《Aveva capito che amore è carità》

Una «figura umana generosa» una «intelligenza acuta e sempre in ricerca». Così, con un ritratto tanto essenziale quanto capace di coglierne uno spirito diviso tra «impegno sociale e militanza politica» ispirato dalla «fede cristiana» don Giovanni Ferretti ha ricordato Gianni Vattimo nell’omelia scritta per il commiato all’ultimo grande filosofo del Novecento. Un funerale che ha visto partecipare almeno trecento persone – in prima fila il compagno, Simone Caminada accompagnato dalla mamma e l’amico di una vita, Franco Debenedetti – tra bandiere No Tav, decine e decine di allievi e colleghi, come Elsa Fornero e il marito Mario Deaglio, ma anche Massimo Cacciari, Maurizio Ferraris e Giuseppe Riconda.

Quasi un’ultima “lezione” affidata a quel sacerdote ben conosciuto anche al Centro di filosofia teoretica intitolato a Luigi Pareyson e che, secondo Cacciari, «ben restituisce il valore e il ricordo di un grande uomo”. Parole che, anche per Elsa Fornero, «sono state capaci di raccontarlo al di là di quelle polemiche che lo hanno travolto negli ultimi tempi, polemiche per cui non è più tempo». Sul feretro del professore c’è il suo “tocco” da accademico, sul carro funebre la corona di fiori inviata dal suo ultimo editore, Elisabetta Sgarbi de “La nave di Teseo” fondata insieme con Umberto Eco.

In coda, per firmare un ultimo addio sul quaderno dell’impresa funebre, un popolo di persone semplici, militanti di sinistra e tanti poveri. Quegli “ultimi” in cui Vattimo aveva saputo intravedere la sintesi tra amore e carità chiosati da don Ferretti in una lettura , in particolare. L’inno alla carità, appunto, scritto da San Paolo ai Corinzi per cui l’amore nel senso di dedizione è «la realtà più importante della vita, più della intelligenza, del successo, della ricchezza, della stessa salute». Vattimo, ricorda il presule, «forse proprio ispirato da questo testo o in accordo con esso, diceva in “Credere di credere” che la carità “non è secolarizzabile”. Che essa, cioè, costituisce un limite invalicabile allo stesso processo della secolarizzazione, che pur travolge tutti i valori tradizionali, mostrandone la fragilità e il carattere storicamente effimero. La carità non ha fine nella storia, potremmo anzitutto dire». La seconda lettura, invece, sono le “beatitudini” dell’evangelista Matteo.

«Mi pare che abbia ispirato il pensiero e la vita Gianni o, comunque, ci ricorda importanti dimensione della fede che gli erano care” ha sottolineato don Ferretti. «Le beatitudini sono anzitutto un annuncio di felicità. “Felicità a voi” traduceva Ricoeur il “beati” che le scandiscono. Esse ci assicurano che Dio come “verità” non vuole la sofferenza ma la felicità dei suoi figli. Sappiamo quanto Gianni si sia impegnato a superare la visione sacrificale del cristianesimo, che lo aveva tormentato in gioventù. Egli ha giustamente scoperto e sostenuto che essa non corrisponde al Vangelo di Gesù. Ed è giunto a sentire la tanto desiderata vicinanza di un “Dio amabile” che ci ama e ci vuole felici».

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