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IL LUTTO

Addio Vittorio, “cronista di razza”: «Sei stato un ponte verso la verità»

A Settimo Torinese l’ultimo saluto a Vittorio Savoia, scomparso a 36 anni, tra amici, colleghi e gonfaloni istituzionali

Vittorio Savoia

Vittorio Savoia

C’erano un sacco di gonfaloni davanti alla parrocchia di San Vincenzo. Primo quello della tua Settimo Torinese. Poi la Croce Rossa. Carabinieri e le “penne nere” degli Alpini accanto alle “piume” dei Bersaglieri. Insomma, anche un sacco di divise e autorità a salutarti, Vittorio. Una chiesa piena fino a oltre il sagrato. Al punto che veniva istintivo cercarti lì, nei tuoi 36 anni di “cronista di razza”, mentre accendevi una sigaretta, scattata “la foto” e segnati due appunti. Che non ci saresti stato - sorprendendoci tutti, come hai fatto due settimane fa quando te ne sei andato - si è capito all’arrivo di quel mogano chiaro, che ha acceso lacrime e applausi. Proprio i soldati in pensione, poi, sono scattati sugli attenti davanti al cuscino di rose bianche che ti ha accompagnato in chiesa. La sindaca Elena Piastra ti ha dedicato un pensiero e, a poche file davanti all'altare c'era anche Aldo Corgiat, tra gli altri che negli anni hai intervistato e hanno avuto il privilegio di conoscerti. 

«Vittorio era un amico e i ricordi legati a lui sono lunghi quasi vent'anni - ha sottolineato Piastra -. Sono giorni che riguardo alcune foto o ripenso a quella frase che ha avuto l’attenzione di mandare, in modo totalmente disinteressato, ma sempre così attento all’altro. Vittorio aveva conosciuto il dolore e forse anche per questo aveva una grande sensibilità, che gli permetteva di far sentire immediatamente la propria vicinanza agli altri. Entrava nelle vicende umane in punta di piedi, con profondo rispetto per tutti: per le istituzioni e le forze dell’ordine, per i protagonisti delle cronache, per le persone che incrociava continuamente, per la professione e il giornalismo. Quel suo essere sensibile e al tempo stesso presente, gli ha permesso di entrare nelle vite di tutti noi. Aveva una capacità particolare, che esprimeva soprattutto nelle fotografie di cogliere aspetti dell’essere umano, di fissare momenti che senza quella foto non si sarebbero potuti scorgere. Era anche la memoria storica della nostra città. Un giornalista cresciuto a Settimo, anche professionalmente».

Persino il parroco, mentre ricordava la «stima» che provava per te, se gli concedevi qualche considerazione “fuori dal taccuino” e la forza con cui hai affrontato la scomparsa di tuo papà Antonio, non riusciva a non commuoversi sorridendo. Come se gli avessi fatto uno dei tuoi scherzi, che ti venivano benissimo ma non questa volta. Ci sono tutti i tuoi amici e colleghi qui, sparsi tra le navate. Alcuni hanno preso l’autostrada perché, ormai, vivono in altre città. Il Vangelo racconta dei viandanti di Emmaus ai quali Gesù si è rivelato per consolarli della sua morte. Come avresti fatto tu, con una canzone e hai scelto “La sera dei miracoli” di Lucio Dalla, per farci piangere ancora un po’.

Tutti la ascoltavano rispettando lo stesso silenzio, puntellato di singhiozzi di quando hanno ascoltato l’omelia di don Antonio. «Ho pensato io a queste due letture, la prima breve sulla “beatitudine” di chi si addormenta nel Signore - ha sottolineato -. Chiediamo per lui il “riposo” dalle fatiche, quel sabato che è un giorno di vita e speranza per l’umanità. Quello che vogliamo per lui dopo le lacrime». Al Signore dice che tu sei arrivato «con tutta la tua carica di bene, amore e fiducia». Una beatitudine che cura il dolore e lenisce «le ferite che restano». In quei viandanti di Emmaus don Antonio ha riassunto «la figura del giornalista come evangelista, pieno di passione nel fare la cronaca della realtà: un ponte verso gli altri». Poi ci sono state le preghiere e i riti funebri, tanti gli abbracci per la tua mamma. Ora escono tutti. Tu avresti aspettato ancora un istante prima di raggiungere la macchina «per mandare il pezzo, che è lunedì e bisogna chiudere il giornale».

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