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Il Borghese
18 Novembre 2023 - 05:30
La bandiera bruciata in piazza Castello a Torino
La bandiera rappresenta l’anima e lo spirito di un popolo. Quella di Israele è stata bruciata ieri mattina nel cuore di Torino da tre, quattro incappucciati. Ieri, un giorno di novembre, un novembre nero come quello del 1938, quello della “notte dei cristalli”, data di inizio dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Vedere la bandiera israeliana che brucia, al di là dei distinguo del politicamente più o meno corretto, fa venire i brividi perché essa rappresenta un vessillo ebraico e incarna i segni e i colori dello Stato nella “terra promessa”. E ciò senza considerare che un simile atto configura uno o più reati che l’ordine costituito dovrebbe perseguire. Ma prima dell’aspetto giuridico, c’è da porsi un’altra domanda che va oltre il lecito e l’illecito del fatto in sè.
Sembra di avere a che fare con un’orda che non perde occasione per rovesciare il punto di vista del buon senso. E il buon senso è totalmente racchiuso in una data: quella dello scorso 7 ottobre. Le “Torri Gemelle” di Israele, l’attacco feroce del terrorismo più spietato che ha lasciato sul terreno oltre mille morti e ha preso in ostaggio centinaia di persone. Tra le vittime ci sono bambini, che sono stati sgozzati, ci sono donne, ci sono anziani. Questo è il fatto che giustifica pienamente la reazione di Tel Aviv. Non una reazione inaspettata, ma che Hamas aveva previsto e che ha ispirato la carneficina in terra di Israele. I terroristi sapevano che Israele avrebbe reagito e non hanno esitato a utilizzare altri bambini, altre donne e altri vecchi come scudi umani per proteggere il loro strisciare come vermi nei sotterranei di Gaza. Israele da vittima, nel pensiero degli emiri che comandano il gruppo terroristico (accostare il termine Hamas a quello del popolo palestinese oggi suona come una bestemmia per gli stessi palestinesi, o per molti di essi), sarebbe stato percepito come Stato carnefice, non solo tra i popoli arabi, ma anche nell’occidente moderno e progressista.
Una strategia puerile, ma che ha aperto una breccia specie in alcuni salotti europei e occidentali. Un tranello nel quale, però, non sembrano essere caduti i grandi pensatori del Novecento, come Jürgen Habermas che per quasi un secolo ha ispirato la sinistra europea e l’intero pensiero progressista internazionale. Ma nel trabocchetto ci stanno cadendo persone e gruppi senza memoria e storia, quelle masse (più o meno vaste), «senza cultura da cui deriva una relativa libertà e una società che, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla», scriveva Albert Camus. La giungla ieri la si è vista in piazza Castello, al termine di un corteo studentesco organizzato non si sa bene per cosa, quando gli incappucciati hanno bruciato la bandiera ebraica e israeliana. Un simile atto non può essere considerato la bravata di qualche giovinastro. E’ evidente che il falò di piazza Castello è stato l’atto simbolico dell’odio, quello che utilizza il fuoco per cancellare ciò che si vuole distruggere. Il fuoco lo hanno usato anche i nazisti 85 anni fa, nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938. E quello fu l’inizio della fine.
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