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IL RICORDO

Ecco la Chiesa di Francesco, «E’ un ospedale da campo»

Le parole del fondatore del Sermig, Ernesto Olivero, sull'amico Pontefice

Ecco la Chiesa di Francesco, «E’ un ospedale da campo»

Ernesto Olivero e Papa Francesco

Ernesto Olivero, il fondatore del Sermig, ricorda con commozione l’amico Papa Francesco. Per problemi di salute Olivero non potrà essere presente ai funerali del pontefice, ma l’Arsenale della Pace ci sarà: un gruppo di ragazzi parteciperanno alla cerimonia a Roma per ricordare il Santo Padre tanto legato alle terre piemontesi, per celebrare il «Papa che ci ha guidati come un padre». Anche da lontano Olivero prega per Bergoglio.

Olivero, qual è il suo ricordo più profondo?
«Intanto ringrazio Francesco per la sua testimonianza. Nel 2023, trecento ragazzi del Sermig vennero accolti a San Pietro dal Pontefice, per raccontare la storia del Servizio Missionario Giovani, definita dallo stesso Papa “una specie di grande albero cresciuto a partire da un piccolo seme. Così sono le realtà del Regno di Dio”».

La sua vita è legata al Sermig
«Era il 1964. Volevamo aiutare i più poveri e combattere la fame nel mondo. Poi il nostro progetto si è esteso in diverse direzioni. Una delle più importanti, la formazione dei giovani: ora migliaia di ragazzi ogni anno vivono un periodo formativo all’Arsenale della Pace, la nostra casa di Torino».

Come vi accolse Francesco?
«Ci disse: “Cari amici del Sermig, non stancatevi mai di costruire l’Arsenale della Pace! Andate avanti! La Madonna vi custodisca e vi accompagni. Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me».

Cos’ha rappresentato per lei Papa Francesco?
«È stato un uomo di Dio che ha guidato la Chiesa come un padre e un pastore. Ha saputo camminare non solo davanti, ma anche in mezzo e dietro al suo popolo. Così come ognuno dei suoi predecessori l’ha fatto con il suo stile, con la sua personalità. Con coraggio ha riportato il Vangelo vicino alle persone, credenti e non credenti, ha fatto sentire ad ognuno di essere amato da Dio così com’è: nessuno perso, nessuno escluso, nessuno lontano».

Qual è l’eredità che Bergoglio lascia nella Chiesa e nei fedeli?
«Credo che l’eredità più grande di questo pontificato sia la vicinanza evangelica all’uomo. C’è quell’immagine efficace usata dal papa, ovvero quella della Chiesa come ospedale da campo, il luogo dove tutti, se lo desiderano, possano sentirsi a casa. È un’immagine bellissima che dà speranza in questo tempo così difficile e complesso».

Cosa ci si può aspettare da questo Conclave?
«Credo che nessuno possa dirlo. Mai come in questi passaggi, dobbiamo ricordare che la Chiesa non è solo una struttura umana, ma guidata da Dio. Spero che il prossimo papa continui ad essere un testimone credibile del Vangelo e che continui a spingerci a viverlo senza paura, a lottare per un mondo più fraterno e giusto capace di restituire dignità ad ogni vita».

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