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IL CASO
09 Luglio 2025 - 22:00
La rivolta al Ferrante Aporti
Una notte di fuoco, letteralmente. Era il primo agosto del 2024 quando intorno al carcere minorile Ferrante Aporti camionette delle forze dell’ordine e vigili del fuoco chiudevano al traffico la zona. All’interno dell’istituto si stava consumando quella che sarebbe stata poi ricordata come la più grande rivolta mai avvenuta nel penitenziario per minorenni. Quella notte, un’evasione di massa fu sventata. Diversi roghi vennero appiccati, faldoni dati alle fiamme, celle devastate, stanze comuni distrutte. Faceva caldo, le attività erano state sospese e il sovraffollamento all’interno della struttura aveva reso l’atmosfera ancora più tesa, sia per i giovani detenuti che per il personale. I danni totali vennero quantificati in 150mila euro. Le indagini partirono nei giorni successivi. Furono identificati dieci ragazzi, alcuni ancora minorenni, ritenuti i “leader” e promotori della rivolta. A undici mesi di distanza, ecco le condanne: il verdetto è stato pronunciato al termine di quasi 14 ore di udienza. A processo con rito abbreviato erano rimasti nove imputati; il decimo ha scelto il rito ordinario, e per lui – che all’epoca dei fatti aveva 16 anni e si trovava recluso per il tentato omicidio di Mauro Glorioso, il ragazzo rimasto tetraplegico dopo il lancio della bici dai Murazzi – si attende il dibattimento previsto per settembre. Sarà difeso dall’avvocato Domenico Peila. Per gli altri 9, il procedimento si è concluso con un totale di oltre 35 anni di condanne, a fronte dei 32 richiesti dal pm Davide Fratta. La pena più alta è stata di 4 anni e 8 mesi, mentre a un solo ragazzo è stata concessa una messa alla prova di 20 mesi, come richiesto dal suo legale Roberto Breatta Doriguzzi. Secondo la ricostruzione, la rivolta era iniziata dopo cena, con qualche urlo e porte sbattute. Poi, alcuni ragazzi avevano deciso di non rientrare in cella. «Il mio assistito, F.S., italiano, 17 anni all’epoca, rientrò», precisa l’avvocato Cristian Scaramozzino. Nonostante ciò, anche F.S. è stato indicato tra i promotori della rivolta. Scaramozzino ha criticato duramente la sentenza: «Mi chiedo perché non sia stato applicato il nuovo reato introdotto dal Decreto Sicurezza, quello relativo alle rivolte penitenziarie, che prevede pene fino a 5 anni di carcere. Una scelta incomprensibile». Ha anche contestato l’aggravante dei futili motivi, sottolineando come i giovani detenuti lamentassero da settimane condizioni definite «disumane» all’interno dell’istituto. La decisione della Procura dei Minori, guidata da Emma Avezzù, di non applicare la nuova fattispecie penale, è stata definita da alcuni difensori una “questione politica”. Avezzù ha risposto con fermezza: «No. Nessuna questione politica. Di solito si applica la norma. Ma questo non è un caso di semplice rivolta. È stata una devastazione, un saccheggio. Il reato di rivolta penitenziaria punisce la resistenza, anche passiva. Qui i ragazzi hanno distrutto il refettorio, i bagni, hanno minacciato agenti, fatto a pezzi armadi. Quello che è successo quella notte si sa, lo hanno scritto ovunque. Non è stata solo una rivolta. È stata una devastazione».
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