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Il caso
01 Agosto 2025 - 04:25
Un fanatismo che vedeva unire matrici di tipo jihadista a quelli che sono stati i peggiori stragisti del secolo, passando per la supremazia razziale e la dottrina antagonista. A casa, in cameretta, armi finte - senza tappi rossi - alcuni passamontagna, divise delle SS, bandiere con croci celtiche. Su un fucile finto, un ragazzino aveva inciso i nomi di Anders Breivik, il killer che uccise 69 persone a Utoya nel 2011, Stephans Balliet, attentatore antisemita che nel 2019 tentò una strage in una sinagoga, Alexandre Bissonette, il killer si è dichiarato colpevole di sei omicidi e cinque tentati omicidi in una moschea in Canada, e Patrik Crusius, il 27enne texano che uccise 23 persone in una sparatoria nel 2019 a El Paso. Questi erano gli idoli dei ragazzini coinvolti nell’indagine che è partita proprio da Torino.
La prima segnalazione è arrivata lo scorso febbraio. Un ragazzino di appena 14 anni, già noto per la pubblicazione online di contenuti a sfondo nazista e antisemita, finisce sotto la lente del reparto Digos di Torino e Alessandria. Da lì prende il via un’indagine più ampia, che attraversa più regioni e chiama in causa decine di adolescenti, tutti tra i 13 e i 17 anni, a eccezione di un maggiorenne che vive a Cagliari. Ha 19 anni ed è stato arrestato per arruolamento con finalità di terrorismo commesso per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale e religioso e propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Le perquisizioni, coordinate dalla Procura per i Minorenni di Torino guidata da Emma Avezzù, portano al sequestro del telefono cellulare del quattordicenne. È proprio quell’apparato, con le sue chat, i profili social e le conversazioni archiviate, a condurre gli investigatori sulla strada della propaganda violenta e diffusa online. Come scritto in una nota diffusa :«al riguardo, riveste un ruolo determinante in molti percorsi di radicalizzazione dei più giovani il web, in ragione della facile accessibilità, della velocità e della riservatezza nello scambio di messaggi, che ne fanno un vettore essenziale per la divulgazione di contenuti ai fini dell’indottrinamento, del proselitismo in chiave radicale e dell’addestramento». In totale, sono 22 le perquisizioni condotte in tutta Italia nel corso dell’operazione. Nelle conversazioni che sono state analizzate dagli inquirenti, «meme e messaggi incitano all’odio razziale, all’esaltazione del nazismo e alla violenza».
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