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Il caso

Torture in carcere a Torino: agenti verso la pena. Chieste 14 condanne

«I detenuti del Padiglione C avevano paura»

Torture in carcere a Torino: agenti verso la pena. Chieste 14 condanne

Quattordici condanne, le più alte a sei anni, le più basse a un anno e mezzo. E poi quella richiesta di due anni e sei mesi per un noto rappresentante sindacale della polizia penitenziaria, accusato — come altri — non solo di aver taciuto, ma di aver coperto o favorito. La requisitoria del pubblico ministero Francesco Pelosi è arrivata stamattina, al termine di ore di ricostruzione, documenti, testimonianze, verbali. Un processo che non è «contro la polizia penitenziaria», ha precisato lui stesso, ma «contro chi, indossando la divisa, l’ha infangata». Perché a Torino, nel padiglione C del carcere Lorusso e Cutugno, «i detenuti avevano paura».
I fatti contestati si collocano tra il 2018 e il 2019, nel settore che ospita detenuti condannati per reati sessuali, spesso contro minori. Lì, secondo l’accusa, sarebbe avvenuta una serie di violenze sistematiche, rivolte soprattutto a quei soggetti. Schiaffi, insulti, umiliazioni, minacce. «Ti faremo passare la voglia di stare qui dentro». Perquisizioni ritenute vessatorie. E persino, secondo una delle accuse, l’imposizione di fornire versioni false ai medici: «Se ti fai refertare, devi dire che ti ha colpito un altro detenuto». Al centro dell’impianto accusatorio tre agenti: Maurizio Gebbia, Dario Celentano e Gianluca Serafino, per i quali il pm Pelosi ha chiesto le pene più severe, sei anni di reclusione. Insieme a loro, siedono sul banco degli imputati altri poliziotti, funzionari, personale amministrativo e sindacalisti. I reati contestati a vario titolo sono quelli di tortura, abuso d’autorità, lesioni, violenza privata, stato di incapacità procurato mediante violenza, favoreggiamento, omessa denuncia, rivelazione di segreti d’ufficio. Non un processo simbolico, ma di sostanza. Non una polemica ideologica, ma un’inchiesta nata da testimonianze precise, a partire da quelle raccolte dall’allora garante dei detenuti Monica Gallo.
Le sue segnalazioni hanno acceso la prima scintilla, portando poi agli atti d’indagine, alle intercettazioni, alle denunce raccolte da undici detenuti, e infine all’aula di tribunale.
Alcune posizioni erano già state stralciate nel tempo, con proscioglimenti e assoluzioni. Ma il cuore del processo è rimasto lì, davanti ai giudici Paolo Gallo, Elena Rocci e Giulia Maccari, che nelle prossime settimane ascolteranno le parti civili e le difese. Poi toccherà a loro, scrivere la sentenza.

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