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CRONACA GIUDIZIARIA

Questa volta il Ras delle soffitte paga: 7 milioni e 3 anni di arresti domiciliari per Giorgio Molino

Una storia che affonda le radici nel primo Novecento, quando il nonno dell’imprenditore iniziò ad affittare stanze agli immigrati arrivati a Torino. Col tempo il gruppo immobiliare era cresciuto fino a diventare, paradossalmente, anche fornitore del Comune

Questa volta il Ras delle soffitte paga: 7 milioni e 3 anni di arresti domiciliari per Giorgio Molino

Tre anni di detenzione domiciliare: si chiude così il procedimento a carico di Giorgio Molino, l’imprenditore torinese che per decenni ha gestito un patrimonio immobiliare sterminato – 1.418 unità tra soffitte, cantine e micro alloggi – affittati per lo più a stranieri, spesso senza documenti. Il patteggiamento, presentato dalla difesa, è stato accolto dalla giudice Valentina Rattazzo, mettendo un punto a un’indagine che ha svelato un sistema di gestione opaco e ramificato. Secondo quanto ricostruito dalla guardia di finanza, coordinata dalla pm Elisa Buffa, Molino avrebbe amministrato gli immobili attraverso una rete fitta di società incastrate l’una nell’altra, una struttura a “scatole cinesi” che avrebbe permesso di non dichiarare quasi 42 milioni di euro di canoni e di evadere circa 7 milioni di imposte.

Durante le perquisizioni, gli investigatori trovarono anche 270 mila euro nascosti in doppi fondi ricavati nei mobili. Per l’83enne imprenditore, il processo si era aperto con una sfilza di accuse: appropriazione indebita, evasione fiscale, truffa ai danni dello Stato, autoriciclaggio, impiego di denaro illecito e false comunicazioni sociali. La sua avvocata, Erica Gilardino, ha depositato la proposta di patteggiamento a tre anni, poi accolta. Intanto Molino ha iniziato a restituire le somme dovute al fisco, mentre gli eredi si occupano di mettere ordine nell’impero familiare. Una storia che affonda le radici nel primo Novecento, quando il nonno dell’imprenditore iniziò ad affittare stanze agli immigrati arrivati a Torino. Col tempo il gruppo immobiliare era cresciuto fino a diventare, paradossalmente, anche fornitore del Comune, ospitando nel palazzo di corso Vigevano 41 alcune famiglie rom provenienti da Lungo Stura Lazio.

Ma la parabola pubblica dell’imprenditore si è bruscamente interrotta con le inchieste e l’arresto: il sindaco Stefano Lo Russo, in un intervento pubblico, lo ha definito «una delle persone più nefaste di questa città». Oggi il controllo delle società è passato al figlio notaio, Giuseppe Molino, e alla moglie Marianna Lucca, rappresentante legale del gruppo. I due stanno lavorando per regolarizzare ogni attività, anche attraverso un confronto strutturato con la Fondazione Don Mario Operti, con l’obiettivo di accompagnare gli inquilini migranti verso contratti e situazioni abitative trasparenti. Ma il passato pesa ancora. In corso Vigevano 41, l’ex fiore all’occhiello del gruppo, la situazione resta critica: l’edificio è occupato da stranieri che vivono tra allacci abusivi e porte murate, testimonianza materiale di un sistema che, pur cambiando gestione, continua a generare emergenze.

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