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Pecorino Romano sotto attacco: dazi USA minacciano il primo mercato del formaggio italiano

Colpito da una tariffa del 15% imposta da Trump, il prodotto simbolo della cucina italiana rischia di perdere la sua roccaforte commerciale oltreoceano

Pecorino Romano sotto attacco: dazi USA minacciano il primo mercato del formaggio italiano

La battaglia del Pecorino romano contro i dazi americani è diventata una corsa contro il tempo. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha promesso «tutto il suo aiuto», mentre il presidente del Consorzio di tutela, Gianni Maoddi, è impegnato in un’intensa attività di lobby con i principali operatori del mercato USA per ottenere un’esenzione, o almeno una limitazione, del dazio al 15% imposto lo scorso agosto dal presidente Donald Trump.

Circa 40mila tonnellate di Pecorino romano vengono prodotte ogni anno, e il 40% è destinato al mercato americano, mentre solo il 30% viene consumato in Italia. Gli Stati Uniti non sono solo il primo paese per l’export, sono il primo mercato in assoluto di questo prodotto DOP. «La presenza del Pecorino romano negli Usa risale a 140 anni fa – racconta Maoddi – a portarlo oltreoceano furono gli immigrati dal Sud Italia. È un prodotto particolarmente legato alla cucina meridionale e poteva essere trasportato e conservato senza troppe difficoltà. Nei decenni, ha finito col contaminare la cucina stessa americana: la ricetta dei “maccheroni & meatballs”, per esempio, prevede il Pecorino romano come ingrediente essenziale».

Ma la vera espansione è arrivata con l’industria alimentare. «Il Pecorino romano è un grande insaporitore – ricorda Maoddi – e ha una stabilità elevata». Perfetto per essere utilizzato in salse, snack, patatine e pizze surgelate. Negli Stati Uniti, il consumo diretto del Pecorino romano è in crescita, ma resta l’industria a rappresentare la metà del giro d’affari. È proprio questo segmento il più vulnerabile: «Prima del dazio il prezzo agli importatori era di 13 dollari al chilo, mentre quello ai consumatori finali era di 35 – spiega Maoddi – col dazio al 15% il prezzo agli importatori aumenterà di circa due dollari».

Per il consumatore americano, passare da 35 a 37 dollari al chilo può sembrare marginale, ma per l’industria che compra all’ingrosso si tratta di una variazione significativa. Una situazione che favorisce i prodotti locali concorrenti: «C’è un formaggio – racconta ancora Maoddi – che viene prodotto negli Usa e che loro chiamano “Romano”. Non è fatto con latte di pecora perché di pecore, negli Stati Uniti, praticamente non ce ne sono: viene prodotto con latte di vacca, cui vengono aggiunti enzimi in grado di far assomigliare il suo sapore a quello del nostro Pecorino romano. Sa a quanto lo vendono all’industria? A 3,5 dollari alla libbra, mentre il nostro alla libbra ne costa 8».

Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti iniziano già a produrre effetti collaterali anche su altri mercati. «Scommettendo su un calo delle vendite negli Usa – dice Maoddi – in molti in Europa già ci chiedono un ribasso del prezzo». In risposta, il Consorzio sta cercando di diversificare i mercati: proprio questa settimana è in missione in Australia, dove punta ad ampliare la presenza del Pecorino romano. Ma resta chiaro che nessun mercato può sostituire gli Stati Uniti. «Dopo gli Stati Uniti – ricorda Maoddi – il secondo mercato estero più importante per noi oggi è il Canada, ma quello che vendiamo ai canadesi in un anno, negli Usa lo vendiamo in due settimane».

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